Non vi fidate di Ipazia Preveggenza Tecnologica

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Oreste Grani
view post Posted on 25/7/2012, 09:04 by: Oreste Grani




L’8/1/2012, ignorando l’imminente (14/2/2012) attacco che Amalek l’infangatore preparava, scrivevo, a un lungo elenco di collaboratori e amici fidati, una mail intitolata “Alan Turing e il business dell’Intelligence Culturale” in cui spiegavo le ragioni della scelta di legare il nome di Alan Mathison Turing al proseguo del progetto Ipazia Preveggenza Tecnologica e le sue profonde motivazioni etico-morali funzionali ad una Strategia di Sicurezza Nazionale.

Con la mail dell’8/1/2012 che trovate in coda a questo ragionamento, annunciavo che avevamo messo a fuoco, con i tre convegni che ci preparavamo a realizzare, un percorso operativo per accompagnare, legittimamente, imprenditori e le loro aziende a saper utilizzare le centinaia di milioni di euro che l’Europa era pronta a stanziare per operatori (imprese e liberi professionisti) di infrastrutture rilevanti per la sicurezza e l’intelligence.

Oggi, lurido Amalek, alla luce del tuo modus operandi e delle azioni svelate dei tuoi complici oggettivi che subito hanno saputo e voluto utilizzare il tuo lancio anonimo di fango, conosco finalmente il movente del tuo crimine: 330 milioni di finanziamenti che da Bruxelles il 10 di luglio sono stati messi a disposizione per il cosidetto bando di sicurezza le cui modalità di erogazione sono disponibili nel sito della Commissione UE (http://cordis.europa.eu/fp7/home_en.html).
Dopo il mio annuncio dell’8/1/2012 (sei mesi prima della pubblicazione del bando) e avvicinandosi il convegno “Lo Stato Intelligente. I finanziamenti europei per l’innovazione e per la Sicurezza” del 23/3/2012 alla Camera dei Deputati, qualcuno ha ritenuto che Ipazia Promos, Ipazia Preveggenza Tecnologica e il loro promotore non arrivassero “vivi” all’appuntamento con questa lecita opportunità di mercato. Opportunità per cui da anni, facendo sacrifici di ogni tipo, una squadra di professionisti, guidati solo da una preveggenza che, a volte, sorprendeva anche me.

Eravamo, con il nostro approccio etico e patriottico, una minaccia che andava tolta di mezzo. Con qualunque mezzo. E tu, lurido Amalek, sei stato il mezzo.
Ma, come ho già scritto, non avendo avuto i nemici di Ipazia, di Turing e della Repubblica Italiana il coraggio, fuori da metafora, di uccidermi, e non essendo io morto, mi preparo a riprendere il cammino e a vigilare perché quei 330 milioni siano attribuiti, secondo giustizia, e, per usare le parole che inadeguatamente faccio mie, del Presidente della Corte dei Conti Luigi Giampaolino perché “con la corruzione nessuno inquini e distrugga il mercato”.

Pubblici ufficiali sleali, imprenditori affamati, Società quotate in borsa o meno, mediatori di affari disoccupati, pensionati statali millantatori, giovani arroganti e smemorati, vecchi arnesi di “ambienti riservati”, siete tutti avvertiti: quei soldi servono alla piccola e media impresa italiana per, almeno nel settore della sicurezza e dell’intelligence, superare la crisi e salvare migliaia di posti di lavoro di italiani, viceversa, senza futuro.
Proteggere il percorso legittimo e ottimale di quei soldi è una questione di Sicurezza Nazionale e perché nulla accada di illecito sto provvedendo ad allertare la stampa specializzata e gli organi preposti alla vigilanza.
Meglio prevenire l’appropriazione indebita che, vanamente, inseguire i furbetti di turno.
Donne e uomini avvisati, mezzi salvati.


"La mattina di lunedì 17 febbraio 1992 l'ingegner Mario Chiesa era convinto che stesse per iniziare un giorno come un altro. Una nuova settimana, magari seguita da una vacanza, forse sulla neve, che lo distraesse un po' prima delle fatiche della campagna elettorale.
Quella mattina Mario Chiesa non era il solo a sentirsi così tranquillo. Nessuno immaginava che quella data avrebbe segnato una svolta nella vita del Paese. Così, erano tranquilli Bettino Craxi, segretario del PSI, e Arnaldo Forlani, segretario della DC. Anche il segretario del PSDI, Antonio Cariglia, quello del PLI, Renato Altissimo, e quello del PRI, il più noto Giorgio La Malfa, si preparavano a iniziare una nuova settimana di lavoro in vista delle elezioni. E lo stesso valeva per Francesco Cossiga, presidente della Repubblica, e Giulio Andreotti, ancora una volta (l'ultima) presidente del Consiglio e da un anno senatore a vita. Per tutti il pensiero più importante era l'imminente campagna elettorale. Ma erano dei veterani della politica, abituati a combattere dure battaglie e a conquistare le preferenze sul campo, una per una. Niente di troppo preoccupante, dunque. E poi l'evidente crisi che attraversava il PDS faceva stare tutti un po' più sereni. La pericolosa avanzata del PCI di Berlinguer si era infranta sulle macerie del Muro di Berlino. Invece, quel 17 febbraio avrebbe cambiato per sempre la vita di ciascuno di loro. Molti sarebbero finiti sotto processo e condannati. Quasi tutti avrebbero concluso bruscamente la loro carriera politica. E i loro partiti, protagonisti della vita politica italiana dalla caduta del fascismo, di lì a qualche mese sarebbero improvvisamente e definitivamente scomparsi. Spazzati via dalle inchieste giudiziarie e dall'indignazione popolare.

Che il 17 febbraio del 1992 sarebbe rimasto nella storia d'Italia, però, non lo immaginavano neppure Antonio Di Pietro e, men che meno, Mario Chiesa, il vero protagonista di quella giornata, il «giovedì nero» della Prima Repubblica.
Diversamente da quanto avvenne quel lontano giovedì del 1929 a Wall Street, infatti, nel 1992 ci volle un po' di tempo perché tutti si rendessero conto della gravità della situazione.

All'inizio nessuno capì granché. Neanche chi, ancora potente, presto avrebbe visto crollare tutto quello che aveva costruito nel corso di lunghi anni, o chi, al contrario, ancora sconosciuto, avrebbe sperimentato un'insperata fortuna. Nel suo diario, alla data del 17 febbraio, Paolo Pillitteri, ex sindaco di Milano e cognato di Craxi, scrisse che non si sarebbe scatenato alcun effetto domino. Lui si sentiva al sicuro. Sarebbe stato uno dei primi parlamentari inquisiti. Una lungimiranza, quella di Pillitteri, che fa il paio con quella di un altro diario ben più famoso, quello di Luigi XVI, che annotò come priva di eventi di rilievo la data del 14 luglio 1789, giorno della presa della Bastiglia. Per Mario Chiesa, in particolare, quel freddo lunedì – la mattina a Milano c'erano poco più di due gradi – doveva essere un giorno come un altro. E dunque un giorno in cui intascare tangenti e far fruttare l'ultimo incarico che il sottobosco politico che frequentava da anni gli aveva procurato: la presidenza del glorioso Pio Albergo Trivulzio, il più grande istituto assistenziale per anziani di Milano"

In quelle stesse ore, febbraio 1992, ora più ora meno, ero impegnato nella lettura del testo "Gli ingranaggi della mente" del neuroscienziato Colin Blakemore all'epoca docente all'Università di Oxford che troverete di seguito.

"Gli ingranaggi della mente
Posti di fronte al compito di spiegare le massime conquiste della mente dell’uomo nei termini di quel meccanismo ben oliato che è il suo cervello, filosofi e scienziati si sono ridotti all'uso di metafore, analogie con la tecnologia a loro contemporanea. Nel secolo scorso il cervello era paragonato a una locomotiva a vapore o a un magico meccanismo a orologeria. Nel nostro secolo, le metafore sono cambiate più e più volte, via via che la tecnologia progrediva.
E così il cervello è stato paragonato di volta in volta a un "telaio incantato", a un centralino telefonico, a un ologramma o a un laboratorio chimico. Ma la metafora più forte, e in un certo senso anche più terrorizzante, è quella del computer.
Un computer, in senso lato, è una macchina da calcolo, un congegno che serve a elaborare informazioni in base a un programma, cioè a un insieme di istruzioni formalizzate.

Secondo una definizione così elastica, il cervello non è soltanto simile a un computer: è un computer. Per dirla con le immortali parole di Marvin Minsky del MIT (Massachusetts Institute of Technology), uno dei fondatori della nuova scienza dell'intelligenza artificiale, il cervello è una “macchina di carne”.
John McCarthy della Stanford University in California, che ha inventato il termine "intelligenza artificiale", scorge nel funzionamento delle macchine, anche delle più rozze, l'equivalente delle funzioni superiori della mente umana credenze, pensieri e coscienza: "Si può affermare che anche macchine semplici come i termostati abbiano le loro convinzioni. [...] Il mio termostato ha queste tre: qui dentro fa troppo caldo, qui dentro fa troppo freddo, qui dentro c'è la temperatura giusta!".

Naturalmente le affermazioni di McCarthy erano deliberatamente provocatorie; ma a meno di sostenere che nel cervello vi sia qualcosa di magico e indefinibile, dobbiamo per forza concludere che esso è una macchina calcolatrice.
In tal caso, c'è da chiedersi se la struttura dei moderni computer digitali sia in grado di fornirci qualche spiegazione circa i meccanismi del pensiero e dell'intelligenza umani. Gli esseri umani sono in grado di risolvere problemi logici, di seguire determinate strategie in giochi come quello degli scacchi, di effettuare calcoli matematici. I computer sono capaci di fare tutte queste cose, e sotto molti punti di vista di farle in modo più efficiente. Tuttavia, come nella favola della lepre e della tartaruga, i cervelli umani sono in grado di superare i computer in tanti modi diversi perché si servono di abili trucchi che battono la mera velocità e la prodigiosa memoria delle macchine fabbricate dall'uomo.

Malgrado la potenza dei computer e l'influenza che hanno avuto sulla nostra vita, fondamentalmente il loro modo di pensare è di un'ingenuità incredibile. Il computer universale archetipico, quale lo immaginò il brillante matematico di Cambridge Alan Turing, non è altro che un sistema che reagisce a una semplice sequenza di messaggi scritti su un nastro di carta o a qualche altra forma di presentazione seriale. Tuttavia, per mezzo di programmi espressi in istruzioni della massima semplicità, che consistono unicamente di una serie di zero e di uno, una simile macchina digitale universale è in grado – come ha dimostrato Turing - di affrontare e risolvere qualsiasi problema che possa essere espresso in termini di uno specifico insieme di istruzioni e di regole.
Alan Turing descrisse questo tipo di architettura informatica in un famoso articolo scientifico pubblicato nel 1937 poco dopo essersi laureato a Cambridge e molto prima che un'équipe di Philadelphia capeggiata da un matematico altrettanto eminente, John von Neumann, mettesse a punto ENIAC, il primo computer digitale del mondo.

Turing era uno di quei geni eccentrici ma dagli innumerevoli talenti che la scienza produce di tanto in tanto. Morì nel 1954 all'età di soli quarantuno anni, dopo aver ingerito del cianuro che aveva sintetizzato nel suo laboratorio casalingo. Quattro anni prima di morire pubblicò il suo scritto forse più controverso e provocatorio, intitolato "Computing Machinery and Intelligence". In questo testo, Turing affronta un interrogativo poi divenuto centrale per la psicologia cognitiva e la filosofia, cioè se le macchine possano davvero avere una mente come gli esseri umani. Si ricordi che i pochi computer digitali del tempo erano congegni mostruosi e del tutto inaffidabili, con meno memoria di una moderna calcolatrice tascabile.

Ciononostante, Turing è stato tanto preveggente da interrogarsi, in quel suo lavoro pionieristico, sul rapporto fra mente umana e computer.
Turing si era reso conto che pensiero e coscienza sono esperienze squisitamente private. Sebbene io sia convinto che gli altri esseri umani pensino in modo assai simile a come penso io, non ho prove dirette del fatto che abbiano una mente cosciente. Possiamo conoscere i pensieri altrui solo attraverso le azioni che li rivelano (che comprendono l'uso del linguaggio per descriverli). Turing osservava che «entrare dentro» gli altri esseri umani per studiare la natura delle loro cogitazioni coscienti non è affatto più facile che penetrare nel mondo mentale di un computer. Invece, egli propose un test per valutare l'intelligenza di una macchina.

Nel «test di Turing» un esaminatore siede davanti a una telescrivente che comunica con due persone diverse che egli non vede. A queste due persone, l'esaminatore pone alcune domande riguardanti le loro esperienze mentali, e magari tenta d'indovinare chi dei due è un uomo e chi una donna. Il passo successivo è sostituire una delle due persone con un computer: l'esaminatore è capace di distinguere la macchina dall'essere umano? Se non ci riesce, Turing conclude che il computer ha superato la prova dimostrando di saper pensare come una persona.
Ora, gli scritti di Alan Turing hanno suscitato un dibattito sulla natura dell'uomo non meno acceso della nota querelle seguita alla pubblicazione della teoria dell'evoluzione di Darwin. AI pari di quest'ultimo, Turing è stato accusato di essere un gretto materialista privo di qualsiasi sensibilità per l'aspetto spirituale degli esseri umani. Nulla di più falso.

È paradossale che un uomo tanto fuori dal comune - la cui eccentricità nessuno penserebbe mai di far imitare da una macchina - sia stato capace di esprimere un punto di vista tanto raziocinante e distaccato sulla natura dell'intelligenza umana.
In Faster than Thought, un divertente volume sulle origini storiche del computer, B.V. Bowden ha scritto: "È improbabile che una macchina possa mai imitare l'opera di quei pochi individui straordinari ai cui sogni e ai cui sforzi si devono la crescita e la fioritura della nostra civiltà».
Ora, Turing è senz'altro uno di questi; eppure per lui il computer era assai più di una metafora della mente: era uno strumento potenzialmente dotato di vera intelligenza.

La morte di Alan Turing è stata seguita a breve distanza di tempo dalla nascita dell'intelligenza artificiale, la nuova scienza fondata sulla sua visione delle macchine dai pensieri umani. La marcia della tecnologia è stata un milione di volte più rapida del lento progresso dell'evoluzione animale.
Nel volgere di pochi anni, i computer sono tanto cambiati da essere del tutto irriconoscibili: le loro dimensioni sono diminuite mentre la loro memoria e velocità sono aumentate. La capacità del primo computer, realizzato da John von Neumann nel 1946, era di sole venti "parole»: ma la memoria delle macchine è passata in un baleno alle migliaia, e poi ai milioni, e finalmente ai miliardi di unità d'informazione.

Via via che le macchine diventavano più potenti, cresceva la complessità dei linguaggi e delle tecniche per programmarle. Per i primi anni della rivoluzione dell'intelligenza artificiale - dal 1957 circa alla metà degli anni Sessanta - i profeti di questa nuova religione del semiconduttore sono stati di un ottimismo inconsulto. Si erano prefissi l'obiettivo di insegnare alle macchine l'esecuzione di compiti che, negli esseri umani, giudichiamo come il massimo dell'intelligenza: risolvere problemi matematici e logici, giocare a scacchi. L'incredibile velocità, la prodigiosa memoria e la straordinaria precisione (quando è in giornata buona) dell'odierno computer digitale gli conferiscono una forza bruta in grado di risolvere con notevole successo problemi del genere.
Nel giro di due o tre anni dall'avvio - al Massachusetts Institute of Technology - del progetto intelligenza artificiale, era già pronto un programma computerizzato in grado di eseguire calcoli come un laureato in matematica. Ancora qualche anno, e il campionato mondiale di backgammon sarebbe stato vinto da un programma elaborato da Hans Berliner. Sembrava proprio che le macchine vincessero su tutta la linea contro la mente umana. E invece, nei vent'anni successivi, l'ottimismo è sbollito e persino i fanatici dell'intelligenza artificiale hanno capito che i computer sono ancora lontani dall'eguagliare le conquiste del pensiero umano.

È ormai chiaro che i computer riescono tanto bene in certi compiti solo in virtù della loro spettacolare velocità e della loro sconfinata memoria, ma sono ben lungi dal possedere la sottigliezza e la creatività tipiche dell'intelletto umano.
E ancora, si è visto che gli obiettivi fissati ai primordi dell'intelligenza artificiale - giochi matematici, problemi logici e partite a scacchi - non erano poi le cose più difficili che un uomo possa fare col proprio cervello.

Se giudichiamo la profondità dei nostri processi mentali col metro della difficoltà che gli informatici incontrano nel tentativo di creare programmi capaci di simularli, appare chiaro che le operazioni più complesse svolte dal nostro cervello sono quelle che tutti facciamo senza sforzo e in modo inconsapevole. Riconoscere i singoli oggetti nell'incredibile mosaico di forme dell'immagine retinica; decifrare il torrente di suoni che forma il linguaggio umano; restare ritti in piedi su due gambe, andare fino alla porta e aprirla. Sono questi i veri miracoli dell'intelligenza umana, che fanno apparire le più complesse operazioni dei computer simili agli exploit intellettuali di un lombrico. Il valore commerciale di una macchina che capisce la lingua parlata come la capiamo noi, o di un robot che manipola oggetti al pari di un artigiano in carne ed ossa, sarebbe enorme. Ma anche il più ottimista fra gli esponenti dell'intelligenza artificiale è disposto ad ammettere che si tratta di traguardi ben lontani. Ciò significa che il computer è solo un'altra metafora della mente umana, e che dobbiamo andare in cerca di nuove tecnologie che ci aiutino a capire come essa funzioni? Forse. O forse significa che il cervello è una macchina calcolatrice, ma che si fonda su principi diversi da quelli degli odierni computer fabbricati dall'uomo. È proprio vero: capire in che modo il cervello elabori la percezione di un volto o i movimenti della danza potrebbe aiutarci a progettare computer migliori, che vadano sempre più vicini a superare il decisivo test di Alan Turing.

COLIN BLAKEMORE
Neuroscienziato. Docente di Fisiologia all'Università di Oxford
Questi stimoli intellettuali facevano parte di un percorso formativo che mi ha segnato e che, nel bene e nel male, mi ha fatto diventare quello che oggi alcuni di voi conoscono.
Prima di queste pagine, dedicate al rapporto dicotomico uomo-macchina, ne avevo dovute leggere altre centinaia attinenti le altre 40 dicotomie di cui mi sentite da anni parlare relative alla cosidetta "Luna Dicotomica".
Tutte queste pagine mi sono servite e a tutte sono grato per avermi messo nella condizione di capire il divenire delle cose e fare previsione che, in buona percentuale, si sono puntualmente verificate.

Ad esempio, 20 anni fa pensai, grazie a Colin Blakmore, che la figura di Alan Turing sarebbe divenuta centale nella comprensione del fenomeno emergente, a quella data, dell'Intelligenza Artificiale e soprattutto in occasione del Centenario della sua nascita: 23 giugno 2012. Il resto è stato facile. Compreso individuare il rapporto tra il pensiero e l'azione di Turing e il prof. Luciano Floridi [Hertfordshire/Oxford, IACAP, Cattedra UNESCO in Information and Computer Ethics, Turing Centenary Advisory Committee (TCAC)] e l'etica nella rete o gli sviluppi dell'Information Tecnology nell'ambito del concetto di guerra, difesa e sicurezza di cui l'ing. Alessandro Zanasi [European Commission Security Advisor (ESRAB, ESRIF)] è uno dei massimi esperti del mondo. Così come mi è stato facile capire il valore di RAV. SCIALOM BAHBOUT - [Rabbino Capo di Napoli e dell'Italia Meridionale], DOTT.SSA LAURA CASERTA - [Reviewer per la valutazione richieste di finanziamento della Commissione Europea] e il DOTT. LIVIU MURESAN - [Presidente Esecutivo della Fondazione Eurisc].
Questi scienziati, con altri che stiamo selezionando, costituiscono parte del comitato scientifico dei 3 convegni che stiamo preparando per i mesi a venire. Alcuni di loro diventeranno docenti della scuola di Intelligence Culturale che apriremo a Terni nel Centro Multimediale.

“Risposte locali a sfide globali. Innovazione per la sicurezza e l'intelligence finanziate dall’Europa”
Le sfide contro i cittadini e i loro Governi provengono sia dall'alto (il commercio internazionale ed i “mercati” che erodono quello che solitamente si pensava fosse un aspetto della sovranità nazionale) sia dal basso (il terrorismo e il crimine organizzato cercano di costringere gli Stati a cedere loro potere o a eluderne il controllo) e riguardano traffico di stupefacenti, crimine organizzato, proliferazione di armi convenzionali e non convenzionali, criminalità finanziaria. Ma un attacco alla comunità dei cittadini e allo Stato, che richiama non solo il ruolo dell'Intelligence ma anche l'Etica sociale, economica e politica, arriva anche dalla corruzione. Un fenomeno che, denuncia Luigi Giampaolino, presidente della Corte dei Conti “inquina e distrugge il mercato” e vede la lotta dell'Italia ancora “sotto la sufficienza”. E purtroppo risulta in crescita tanto che le denunce di casi di corruzione alla Corte dei conti nel 2010 sono state 237 e sempre l'anno scorso, rispetto al 2009, i reati corruttivi segnalati sono stati un terzo in più.
Tutte queste sfide possono e devono essere raccolte e combattute attraverso l'aiuto della tecnologia dell'informazione che è utilizzata sia nella fase di prevenzione sia di protezione. La tecnologia da sola non può garantire la sicurezza ma la sicurezza non può essere garantita senza l'utilizzo della tencologia. Consapevoli di questo scenario, Governi e Istituzioni Occidentali hanno avviato alcune azioni tese a rafforzare l'uso dell'Intelligence contro le nuove minacce.
In particolare l'Europa si è distinta per quanto riguarda l'azione sul terreno della ricerca e innovazione tecnologica al servizio della sicurezza. Prima con ESRAB e poi con ESRIF l’Europa ha indirizzato il proprio sforzo nel settore dell’Intelligence e Sicurezza garantendo l’alleanza tra ricerca, scienza, industria, operatori di infrastrutture rilevanti per la sicurezza e autorità responsabili della sicurezza negli Stati membri della Ue.
Sforzo che ha portato allo stanziamento di svariati miliardi di Euro resi disponibili ai cittadini, alle aziende ed alle istituzioni europee attraverso diverse linee di finanziamento.
Ma sia per combattere terrorismo, criminalità e corruzione con le nuove armi tecnologiche e di Intelligence, sia per assicurarsi i finanziamenti europei, il primo passo da compiere è quello dell'informazione. Da qui nasce il progetto di un convegno dedicato a questi temi con la consapevolezza che un Paese più sicuro, più tecnologicamente avanzato e meno corrotto, sarà anche un Paese più competitivo e capace di superare la crisi.
È stato facile e difficilissimo al tempo stesso. Ma soprattutto mi ha guidato le Ecclesiaste (C'è un tempo per ogni cosa) e gli insegnamenti sul tempo opportuno per ogni cosa. Quello e non un altro.
Torniamo al febbraio del 1992 o meglio al dicembre del 1991 quando veniva dato alle stampe il testo di E. G. dedicato alla figura di Ipazia Alessandrina. Decisi quel giorno che un tempo opportuno sarebbe arrivato per quel nome e per il ricordo di quella figura di scienziata e filosofa e per quella necessità di dialogo culturale e geopolitico nel Mediterraneo.
Oreste”


Questo è quanto scrivevo l’8 gennaio 2012.
Amalek si faceva vivo per infangarmi il 14 febbraio 2012.
Fino al convegno del 23 marzo 2012 nessuno dei protagonisti di quell’evento (riuscitissimo) mi ha considerato infrequentabile incoraggiandomi nel proseguo dell’impresa. Eppure si trattava dei migliori specialisti in “fonti aperte” ed Intelligence del Paese.

Solo successivamente allo straordinario risultato di partecipazione (100 posti avevamo a disposizione e 100 posti sono stati occupati tutti da cultori della materia) e per qualità degli interventi svolti, alcuni che in comune accordo avevano messo a punto il pensiero guida del primo dei tre convegni mi hanno improvvisamente e perentoriamente posto il problema dell’imbarazzo a frequentarmi e a proseguire, con me, il percorso convenuto verso il traguardo di una stretta vigilanza sull’erogazione dei fondi previsti di cui ho già detto.

Da quella boccata di ossigeno finanziario (forse l’ultima per i prossimi anni) avevamo deciso che quel denaro doveva sostenere la piccola e media impresa perché tornasse ad essere il tessuto connettivo dell’eccellenza italiana. Cessando così il ruolo del “vessato” indotto della solita Finmeccanica. Almeno fino a quando, in questo gruppo, non si fossero raggiunti nuovi assetti dirigenziali e non si fosse posto fine alla stagione dell’uso “privato” del patrimonio tecnologico della Sicurezza Nazionale. Evidentemente i “gattopardi” che si aggiravano intorno a Ipazia Preveggenza Tecnologica hanno preferito tramare per allontanarmi per poter operare senza il fastidioso filtro del mio amore di Patria.


Oreste Grani
 
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