Non vi fidate di Ipazia Preveggenza Tecnologica

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Oreste Grani
view post Posted on 15/8/2012, 17:15 by: Oreste Grani





Caro Amalek l’infangatore, scrivevo l’11 agosto alcune parole a te dedicate che cominciavano con: “Caro amico dei nazisti e nemico degli eroi dell’Arma dei Carabinieri, a me sembri sempre di più un complice oggettivo di tutti gli approfittatori che, cooptati per pseudo rapporti di fiducia nei servizi segreti italiani, si sono dedicati invece che ai fini istituzionali del servizio in primis all’uso disinvolto della cassa”.

Il 6 gennaio 1994 il dirigente del Sisde Maurizio Broccoletti estradato in quelle ore da Montecarlo (che fantasia geografica questi agenti segreti!) sosteneva, a parziale discolpa delle sue malefatte, che venivano dati, dalle casse del Sisde, senza obbligo di rendicontazione milioni di lire a Oscar Luigi Scalfaro, quando era ministro degli Interni, per un fondo spese destinato a fonti riservate per informazioni utili alla sicurezza nazionale.

La giustificazione ufficiale per questo fondo speciale era che, avendo il signor ministro dei suoi “segretissimi informatori”, doveva pensare, tra le altre cose che aveva da fare, a foraggiarli. La cifra era di 30 milioni al mese.

Cari lettori tenete conto che a capo del Servizio Segreto Militare dall’aprile del 1951 al settembre del 1952 c’era stato il generale Umberto Broccoli e che il 25 luglio del 1994 veniva arrestato a Losanna in Svizzera, (che fantasia geografica questi agenti segreti!) Michele Finocchi, ex capo di gabinetto del Sisde anche lui coinvolto nello scandalo dei fondi neri di cui sopra e fino a quella data sfuggito – minchia – alla cattura: Broccoli, Broccoletti e Finocchi, scusate il cazzeggio ma ogni tanto ne sento il bisogno in presenza di tanto orrore. Broccoletti dichiarava inoltre che il denaro era stato dato anche a Nicola Mancino (guarda chi spunta), a Giuliano Amato e al capo della Polizia Vincenzo Parisi.

Torneremo sulla vicenda dei fondi dati a questi signori per stabilire, una volta per tutte, se questa vicenda fosse vera, falsa o, secondo un pensiero di Umberto Eco, autentica.

Teniamo conto inoltre che poche ore dopo l’estradizione di Broccoletti parla Luigi Bisignani, ex responsabile delle relazioni esterne del gruppo Ferruzzi, coinvolto nello scandalo delle tangenti pagate da Montedison, che si costituisce (è il suo stile come la vicenda recente della P4 insegna) a Milano il giorno 7 gennaio e ci fa trovare nella calza della Befana se stesso (dopo 3 mesi di latitanza) e l’affermazione che “un alto prelato dello IOR, la banca vaticana, avvallò la pulizia di 92 miliardi della maxi tangente Enimont.
La notizia è vera, falsa o autentica?

Il 4 gennaio 1994 al processo che ormai portava il suo nome, Sergio Cusani si presenta per la prima volta in aula, ma rifiuta di parlare.
Il 2 febbraio invece l’ex amministratore delegato della Montedison Carlo Sama rivela che Raul Gardini pagò 1 miliardo al PDS per gli sgravi fiscali all’Enimont.
La notizia è vera, falsa o autentica?

Carlo Sama affermò: “la tangente venne consegnata con una valigia nell’ottobre del 1989 a Botteghe Oscure a Roma alla direzione del partito”.
La notizia è vera, falsa o autentica?

Questa premessa di cronache giudiziarie e di affidabilità delle fonti serve a calarci negli anni che poi andarono sotto la semplificazione giornalistica di Mani Pulite: mentre Broccoletti diceva che anche i ministri distraevano fondi, i clan somali continuavano a spartirsi le vie di Mogadiscio, i russi cercavano di uccidere tutti i ceceni, gli israeliani continuavano ad occupare la striscia di Gaza e in quelle terre non si riusciva a porre in modo costruttivo la questione di una pace duratura tra Israele e Siria (ma no?!).
Erano gli anni ’92, ’93, ’94.

Nel 1994 l’ambasciatore Sergio Romano si chiedeva:

“Avremo finalmente la pace bosniaca? La Corea del Nord rispetterà i patti nucleari firmati con il governo di Washington? Il fondamentalismo islamico rappresenterà alla fine degli anni Novanta ciò che il terrorismo palestinese rappresentò per l’Europa alla fine degli anni Settanta? Nel corso dell'anno scoppieranno altre "guerre d'Africa" in Angola, in Mozambico o in Nigeria?”
Diceva inoltre l’ambasciatore: “Queste crisi, per quanto gravi, sono soltanto i segni esterni, le manifestazioni patologiche del "grande disordine" che caratterizza la situazione internazionale dalla fine degli anni ottanta. Distratti dai singoli conflitti rischiamo di perdere di vista un processo - la ricomposizione dell'ordine internazionale – che si svolge su tempi più lunghi e sfugge all'occhio elettronico degli operatori televisivi. È su questo processo che dovremmo fermare la nostra attenzione”.

Per quanto riguarda la situazione in Italia, in quel fatidico 1993, scriveva il giornalista parlamentare, Carlo Cantini:

“C'è un'analogia singolare tra la lunga estate del 1943 e questa, che abbiamo appena vissuto, del 1993. Sono passati esattamente cinquant'anni, vengono fatte in TV le rievocazioni storiche della caduta del fascismo, della sconfitta bellica, dell'occupazione nazista.
Le immagini di Giovanni Paolo II al Laterano e a San Giorgio in Velabro si sovrappongono a quelle ingiallite di Pio XII al cimitero del Verano dopo i bombardamenti del '43. E le bombe esplodono ancora con singolare analogia, ma con una basilare differenza. Infatti, nonostante i patimenti, le sofferenze e i lutti, nonostante tutto, le bombe del '43 portavano
il nuovo. Finiva una tirannide e cominciava la speranza della democrazia. L'Italia conquistava, a costo della distruzione e del sangue, la democrazia e la libertà.
Oggi, invece, le bombe difendono il vecchio, vengono definite «di stabilizzazione» e tentano di impedire il progresso civile di un Paese sconvolto dalla corruzione, che registra la disfatta morale e politica della propria classe dirigente, un paese che non ha ancora realizzato la democrazia compiuta.
Se è vero che le bombe odierne difendono lo «status quo», automaticamente, quando esplodono, dovrebbe sentirsi tutelata anche la nomenclatura dell'economia statalistica.
Ma anche le tangenti, la corruzione politica che ha dato luogo allo sperpero di tanti investimenti finanziari e, in ultima analisi, il parassitismo improduttivo e clientelare dovrebbero trovare, nelle bombe, la manifestazione esteriore più simbolica di una qualche tutela.
Sono paradossi?
E gli incendi dolosi, tanto numerosi, che sconvolgono il Bel Giardino d'Europa, sarebbero l'espressione più evidente del ruolo assunto stabilmente da coloro i quali vivono ai margini della società civile nella complicità inconfessabile tra malavita organizzata e politica.

Sono trascorsi cinquant'anni dalla fine del fascismo, il cui crollo avvenne alla luce del sole. Nessuno si curò, allora, se Piazzale Loreto fosse uno «shock», fosse in fondo «destabilizzante». La gente, allora, doveva sapere fino in fondo, anche a costo di aprire ferite insanabili. Allo stesso modo oggi la verità deve venire a galla, completamente.
Il crollo della partitocrazia ci riguarda tutti. Escano, allora, tutti gli scheletri da tutti gli armadi, nessuno, escluso.
Sono trascorsi tanti anni dalla lunga estate del '43, e l'Italia nel frattempo ha dilapidato un immenso patrimonio morale, di ingegno e di creatività, producendo al suo posto il «boom» di un benessere fittizio, drogato dagli sperperi pubblici, basato sul clientelismo. Oggi, si deve prendere atto che è finito un periodo storico, politicamente fondato sulla scelta fatta dalla classe dirigente negli anni '60 per un'economia statalistica che è, via via, degenerata in «corruttela».
Non bisogna dimenticare che l'Italia della partitocrazia ha premiato i furbi e i corrotti, i clienti e i lottizzati, penalizzando, per intere generazioni, i cittadini operosi, silenziosamente impegnati nelle professioni, nelle arti, nei mestieri, persone preparate ma non raccomandate che, in una libera economia di mercato, avrebbero ottenuto ben altri riconoscimenti.
La lunga lista degli italiani non raccomandati ha, spesso, ingrossato la schiera degli emigrati.
La fuga dei cervelli, il «brain drain» ha fatto il resto, impoverendo le risorse umane del nostro popolo.
Il flusso migratorio, dall'inizio di questo secolo, ha raggiunto cifre significative se è vero che, ai 56 milioni di italiani residenti in Italia, ne corrispondono altrettanti in Canada,
Australia, Argentina e USA.
Le cause sono molteplici e complesse, (recessione, disoccupazione ecc.) ma una di queste è certamente rappresentata dalle difficoltà, per un giovane, di trovare un inserimento sociale, un posto di lavoro, - difficoltà d'ogni tipo, non ultima la fatidica «raccomandazione politica».
La parte creativa e qualificata della popolazione italiana, non solo i grandi imprenditori, ha trovato ostacoli d'ogni genere se non è venuta a patti con la partitocrazia. La selezione politica e clientelare, i metodi contorti e mafiosi per ottenere un posto sono stati, infatti , una forma di tangente tipica del sistema partitocratico, una specie di capolarato istituzionalizzato. Ad esso è stato sacrificato il merito e la professionalità.
E, ancora oggi, l'Italia che lavora è sottoposta alle tangenti come l'Italia che produce. La parte sana del Paese si fa carico, ancora una volta, dell'incapacità di tanti parassiti, dell'inefficienza dei pubblici servizi, della mancanza di moderne strutture, ed è supertassata in cambio di nulla.
L'inefficienza è, di per sé, una tangente. L'inefficienza del sistema, inoltre, indossa l'abito dell'arroganza assumendo caratteri persecutori contro il cittadino, il dissidente, contro chi non ci sta.
La selezione naturale, che si verifica in condizioni di libero mercato del lavoro, non si verifica mai nel nostro Paese.
E le gerarchie sociali risultano artificiose, frutto di un meccanismo illegale.
Quando avrà termine questo sistema statalistico, partitocratico, nepotistico e mafioso?
Tangentopoli è servita ad abbattere i costi «politici» della produzione industriale. Si comincia a privatizzare timidamente, ma occorre capire perché tante risorse umane e finanziarie siano finite all'estero.
I giudici di Mani Pulite hanno individuato, in Svizzera, mille depositi bancari italiani ai quali non potranno mai accedere. Se i depositi sono di origine illegale, si sottraggono alla giustizia; se, invece, sono legittimi, evidentemente cercano di sottrarsi alla persecuzione fiscale”.


Caro infangatore utile idiota di vedremo chi, sono passati altri venti anni (quasi) dall’estate del 1993 e non solo gli incendi dolosi fanno sospettare complicità inconfessabili tra malavita organizzata e politica.
“Il crollo della partitocrazia ci riguarda tutti” scriveva nel 1993 Carlo Cantini.
“Escano, allora, tutti gli scheletri da tutti gli armadi, nessuno escluso.”

Quella di queste ore è, ancora una volta, una straordinaria storia italo/americana e la Sicilia e i siciliani hanno, nelle loro mani, le vite di tutti gli italiani. Si avvicinano le elezioni per il Parlamento Regionale Siciliano e ancora una volta non sappiamo chi siano i gattopardi: chi è oggi l’OSS? Chi è il Lucky Luciano? Chi è l’Antonio Canepa? Chi Vito Genovese? Chi Max Corvo? Chi Vincent Scamporrino? Chi Calogero Vizzini? Chi Max Mugnani? Chi Otto Scorzeny? Chi Valerio Pignatelli? Chi è oggi il nuovo Mario Mori? Chi il Giuseppe De Donno? Chi Vito Ciancimino? Chi Giovanni Falcone? Chi Carlo Alberto Dalla Chiesa? Chi Paolo Borsellino?

Nel 1993 il groviglio bituminoso del rapporto Stato mafia è stato possibile perché i 50 anni trascorsi dalla lunga estate del ’43 non ci avevano convinti a richiedere l’apertura di tutti gli armadi. Ne sono trascorsi altri venti, dal 1993, inutilmente.
In questa inutilità non sottovaluterei la chiara, onesta, illuminante presa di posizione di Claudio Martelli che, nella sua veste di protagonista di quegli anni e di quegli avvenimenti, sente il bisogno civile e morale di raccontare la sua parte di verità.

Ed io sento il bisogno di ringraziarlo per questo e di dare spazio alla prosa netta, senza equivoci che lui usa oggi, 15 agosto 2012, ospitato sul Fatto Quotidiano:

“Caro Direttore, leggo sul Fatto del 14 agosto una replica alla mia intervista del 12 ultimo scorso, di Giovanna Maggiani Chelli, presidente dei familiari delle vittime di via dei Georgofili: "L'ex ministro Martelli dopo 20 anni si è pentito?
Oggi dice a ruota libera ciò che si è guardato bene dal dire sia nel 1993 e ai magistrati di Firenze mentre indagavano sui concorrenti esterni a Cosa nostra per le stragi". Quando nel giugno del 1992, varato il decreto antimafia più incisivo della storia repubblicana, fui avvertito dalla dottoressa Liliana Ferraro delle anomale richieste del capitano De Donno del Ros, tromite la stessa Ferraro ne informai Paolo Borsellino, (che ti rispose: "Ci penso io”), il generale Tavormina capo della Dia e il ministro degli Interni Mancino.
Nel novembre 1992, quando lo stesso De Donno chiese il rilascio del passaporto a Vito Ciancimino ne informai il pg di Palermo, Bruno Siclari, che ordinò l'arresto del Ciancimino. Riferii ai responsabili del comportamento anomalo del Ros senza neanche immaginare che, mentre lo Stato inaugurava una lotta globale a Cosa nostra, qualche suo esponente potesse tessere trattative per fermare le stragi. Il che deve ancora essere provato. Della trattativa e del decisivo ruolo del presidente della Repubblica dell'epoca, Oscar Luigi Scalfaro, nell'attenuazione del 41·bis, sono venuto a sapere, come tutti, solo in epoca recente grazie alle indagini delle Procure di Palermo e Caltanisetta, al lavoro della Commissione antimafia presieduta da Giuseppe Pisanu, alle testimonianze di Nicolò Amato, direttore dei penitenziari e dei cappellani delle carceri e, soprattutto, grazie alla assunzione di responsabilità del mio successore al Ministero della Giustizia, Giovanni Conso. Dunque, rendendo testimonianza all'indimenticabile pm fiorentino Giovanni Chelazzi riferii quanto sapevo allora, compresi gli originari dubbi manifestati da Scalfaro e da altri politici circa l'introduzione del 41-bis, e non, evidentemente, quanto all'epoca era ignoto a me come a tutti. Chelazzi elogiò il mio lavoro da ministro e mi ringraziò.

Claudio Martelli”



Martelli, dopo quanto ha voluto dire nelle recenti apparizioni televisive e nell’intervista del 12 agosto al Fatto Quotidiano, lascia oggettivamente meno soli i magistrati palermitani anche perché si è opportunamente collegato, con la sua azione, al meraviglioso movimento di protezione che oltre 100mila cittadini consapevoli stanno mettendo in atto a sostegno della ricerca della verità.
Dedicherò, quanto prima, parte del mio racconto all’incontro con Claudio Martelli, avvenuto grazie alla volontà di Giampaolo Colletti, dipendente all’epoca di Ipazia Preveggenza Tecnologica.

Racconterò, come ho promesso migliaia di parole fa, della sfortunata esperienza elettorale alle recenti amministrative di Siena.
Colgo questo momento e questa limitata opportunità data dal sito su cui scrivo per scusarmi con Martelli, per averlo esposto all’odio feroce che i vetero/neo comunisti senesi provavano per lui, chiedendogli di candidarsi e di aiutare Pierluigi Piccini nel suo estremo tentativo elettorale.
Avevo sottovalutato, (io che leggerezze così non le avevo mai commesse), l’effetto che le troppe massonerie che operano a Siena avrebbero avuto, sommandosi al sordido ambiente verdiniano, sul nostro onesto tentativo di eleggere un sindaco diverso da Ceccuzzi.


Anticipo con la pubblicazione di due testi il racconto che non poteva, prima o poi, non essere fatto. Come i conti che, alla fine, vanno sempre fatti.

“Il groviglio armonioso il groviglio bituminoso

Scritto da STEFANO BISI il 18 aprile 2011 sul Corriere di Siena da lui diretto.

Tra i tanti soloni, di centro, di destra e di sinistra, che negli ultimi tempi pontificano sulle “disgrazie“ del Sistema Siena per catturare qualche voto in più mancava Claudio Martelli, già vicepresidente del consiglio dei ministri, ex ministro della giustizia ed eterno delfino di Bettino Craxi. E’ venuto a Siena per sostenere la candidatura a sindaco del moderato Gabriele Corradi e, siccome, il babbo di Bernardo gli deve essere sembrato troppo riflessivo, è partito in quarta e si è messo a insultare i senesi ai quali, però, chiede i voti per essere eletto in consiglio comunale. Martelli ha paragonato i suoi nuovi concittadini a sudditi che subirebbero “una vera e propria casta che sta soffocando la città”. Ma i senesi non sono mica così bischeri, sanno distinguere il grano dal loglio, come ricorda spesso l’assessore Pierpaolo Fiorenzani. Sanno giudicare quello che è bello e quello che è brutto, chi sa governare e chi no. Insomma, non sono sprovveduti. Sono stati capace di creare e mantenere, nel corso dei secoli, il Sistema Siena, quel groviglio armonioso di enti, istituzioni, associazioni, uomini che ha fatto nascere il Monte dei Paschi; il Santa Maria della Scala e poi il policlinico delle Scotte; l’ateneo e l’università per stranieri; che ha sostenuto e sostiene la Mens Sana verso i traguardi nazionali ed europei e il Siena verso la serie A. Per Martelli questo “groviglio armonioso“ è un “groviglio bituminoso”, poco trasparente, con una stampa “che si riduce a esaltare tutto quello che fa l’amministrazione”. Anche “il riscontro

Ma le nostre collezioni sono a disposizione per chi Siena l’ha vista da lontano o gli è stata descritta da occhi strabici. Quando c’è stato da raccontare malefatte o da criticare questa o quella scelta noi ci siamo stati ma da qui a dire che il Sistema Siena è fatto di disgrazie ce ne corre. In fondo la città e la provincia sono da sempre nelle primissime posizioni delle classifiche della qualità della vita e mica tutti saranno giornalisti sudditi come saremmo noi, secondo Claudio Martelli, che diamo “riscontro alla presentazione del bilancio del Monte dei Paschi”, cosa che hanno fatto, peraltro, con toni benevoli i più autorevoli quotidiani italiani.
Ci viene in mente, ancora una volta, quell’insegnante che disegnò su una parete bianca un punto nero e poi chiese ai suoi studenti: “Che cosa vedete?”. Risposero: “Un punto nero”. “Sbagliato – disse – in questa grande parete bianca voi vedete solo un punto nero”. Quella risposta del saggio maestro serva da insegnamento anche per chi, al centro, a destra e sinistra, si piange addosso o spara contro il Sistema Siena, senza alzare lo sguardo oltre le mura cittadine, senza guardare come sono e come vivono città a noi molto vicine.

Martelli e altri contendenti di queste elezioni comunali dovrebbero saperlo e dispiace che l’ex ministro dalla giustizia arrivi dalle nostre parti e si comporti come quei politici di terza fila che per giungere nelle posizioni di riguardo le sparano grosse che più grosse non si può. Un’occasione persa perché Martelli avrebbe potuto nobilitare questa campagna elettorale dall’alto della sua esperienza, per le sue lunghe battaglie libertarie, per i diritti civili, e invece appare come una bellissima donna che, ormai attempata, si mette i tacchi a spillo per sentirsi giovane mentre dovrebbe valorizzare la saggezza che deriva dall’età. E dispiace che per la sua battaglia livorosa, il portabandiera della giustizia giusta, della laicità e della tolleranza, strumentalizzi un’eroina di quindici secoli fa, la filosofa Ipazia, massacrata dal fanatismo della prima Chiesa cristiana, celebrata in un uno straordinario libro di Silvia Ronchey, docente dell’università di Siena. Ecco, Martelli, che usa il volto di Ipazia per la sua campagna elettorale, appare un fanatico, come quelli che massacrarono la nostra eroina.”


Che Martelli avesse ragione e Bisi torto è dimostrato dalla fine che hanno fatto Ceccuzzi, il Monte dei Paschi di Siena e quasi tutti i senesi.
Aveva ragione Claudio Martelli e non Pierpaolo Fiorenzani o, Walter Veltroni che era venuto a Siena a sostenere il candidato PD. Ma più di tutti ha avuto torto Nichi Vendola che, con il suo comizione coprì, di quanto bastò, le vergogne dell’amministrazione Cenni/Ceccuzzi.
È solo il tempo che saprà raccontare fino in fondo come sono andate le cose a Siena.

La lettera che segue è un primo esempio di quanto Ipazia Preveggenza Tecnologica, Ipazia Promos e Ipazia Web Tv hanno tentato di fare, in alleanza, tra gli altri, con Claudio Martelli, perché “l’uomo non sia un mezzo, ma un fine”. Ricordando sempre che il mezzo deve anticipare il fine.

“Egregio dott. Bisi,
non son pochi coloro che, in questi tempi fortunati per il suo nome, dopo secoli di discredito, si appropriano di Ipazia per scrivere libri, fare film, dividere gli uomini. Noi di Ipazia Promos, Ipazia Preveggenza Tecnologica e Ipazia Web Tv, pur costituiti formalmente soltanto da pochi anni, facciamo riferimento, in riservatezza, da lunghissima data (dicembre 1991) alla saggia maestra, come guida illuminata delle nostre vite personali, di persone che stanno nel mondo cercando di dare un contributo di ragione e di speranza al proprio impegno per il bene della comunità umana, e anche del nostro agire aziendale, in una forma atipica, come ci piace dire, fuori dagli schemi commerciali tradizionali del mondo economico.

Nel nome di Ipazia, ci sentiamo chiamati ad una missione che provi a tradurre in un agire coerente per il bene della società, le parole, sapienti e profetiche, di Mario Luzi, che abbiamo voluto citare in apertura pubblicando un’intera pagina sul giornale che Lei dirige della campagna valoriale che abbiamo inteso offrire alla città di Siena e ai senesi, con l’amore per il nostro Paese tutto. Siena è per noi il luogo della rinascita italiana, ove questa provino a guidarla intelligenze e spiriti capaci di uno sguardo alto, non strabico ma pantocrato, non di destra, di sinistra o di centro, ma di destra, di sinistra e di centro, quindi. Universale, che non si fermi alle piccolezze del qui e dell’ora.

Non a caso il nostro simbolo raffigura la testa di Ipazia in forma di nautilus, immagine privilegiata di complessità. E la complessità è ragione profonda e superiore, che segue percorsi carsici e labirinti articolati, e rifugge da semplicismi e antagonismi, perché è ambiziosa e capace di integrare i diversi, gli opposti e perfino i contraddittori, in un complesso armonico, anche in forma di groviglio armonioso e creativo.
L’armonia è e deve essere compagna della tolleranza e della prudenza, perché è compagna della libertà, e libertà significa potersi esprimere in modo diverso da chi detiene il potere di espressione.

“Tutti a votare, comunque e liberamente”, si legge nel materiale propagandistico elettorale che circola a sostegno della candidatura di Corradi e della coalizione che si è schierata con lui, che abbiamo ritenuto la più idonea a trasformare in un progetto per la città e per l’Italia e in comportamenti politici e amministrativi i valori che abbiamo argomentato nella nostra campagna comunicazionale. Valori che promuoviamo e difendiamo per tutti coloro che hanno conoscenza di quanto, anche recentemente, è stato detto con autorevolezza, in un’assise a Rimini, per esaltare completezza, dignità, senso della trascendenza, rispetto per l’uomo e la natura, tolleranza, fraternità, miglioramento individuale e collettivo, saggezza.
Auspichiamo per Siena e i senesi più libertà e più responsabilità.

Alcuni di noi, per età, hanno già vissuto nel rifiuto e nella sistematica emarginazione condizioni in cui Ipazia prima e Giuseppe Mazzini poi hanno trascorso tutta la loro vita. Claudio Martelli si è candidato a queste elezioni amministrative a Siena per aderire ad un progetto politico per il Paese che lo precede, lo comprende e lo supera. Martelli è stato, anche da Lei, ingiustamente accusato di arroganza nei confronti dei senesi, per aver denunciato forme di sudditanza psicologica e culturale, che impediscono il coraggio di cambiare e di credere fino in fondo nella forza della ragione e della buona volontà, da cui l’Italia non è esente. E neppure Siena. Come dimostrano i dati delle ultime elezioni amministrative regionali, con oltre 16mila astenuti dal voto (bianche, nulle e non recatisi al voto), che sono il segnale di uno scontento profondo, verso la politica in generale e la politica a Siena in particolare. Quanto dichiarato da Martelli, divenuto oggetto di Sua durissima critica sul “Corriere di Siena”, piuttosto riecheggia quanto scriveva Rousseau: “L’uomo è nato libero, dappertutto è in catene”. E le catene non sono solo quelle pesanti dei carceri e dei lager, ma anche quelle più leggere del controllo massmediatico e dell’odio che, subdolamente, stringe i polsi e le menti dei più deboli. E che li può rendere inconsapevolmente schiavi.

Certo, bisogna ben comprendere cosa significhi la libertà. E viverla fino in fondo e saper combattere per difenderla, affinché tutti la possano ottenere.
Dunque, è ora che kantianamente tutti senza più divisioni si agisca nel nome di Ipazia alessandrina, da Lei con tanto rispetto citata, perché l’uomo non sia un mezzo, ma un fine. Ricordando sempre che il mezzo deve anticipare il fine.
È tempo di superare le divisioni, all’interno delle singole comunità e della comunità umana nella sua interezza, nel praticare la lezione della nostra eroina Ipazia, serva e martire di verità.

Alcuni di noi sono repubblicani storici. Qualcuno, che per età ha conosciuto, stimato e seguito Randolfo Pacciardi – un “protagonista del Novecento”, come recita il convegno a lui dedicato che si tiene oggi alla Camera dei Deputati, per iniziativa, tra gli altri, del dott. A. d. M. − nell’esperienza dell’Unione Democratica per la Nuova Repubblica, dice che la cosa migliore, in umiltà, è quella di indire, tra noi, un incontro civile per il bene di Siena e del Paese. La disturberò telefonicamente quanto prima, per concordare l’eventuale data. Avremmo piacere, infine, che l’incontro avvenisse presso la nostra sede romana. Ovviamente nostro ospite.
Con cordialità

P.S. Siamo le stesse persone che hanno pubblicato sul suo giornale il pensiero di Mario Luzi in tributo a Ipazia. Siamo gli stessi che domani pubblicano a tutta pagina l’omaggio alla Sig.ra Rita Levi Montalcini, donna scienziata che ha dedicato tutta la vita a Ipazia d’Alessandria. Siamo gli stessi che hanno editato in free press “Sorelle d’Italia” e “Dolci acque”. Tutti questi non ci sembrano “gesti offensivi” nei confronti dei senesi e della cultura profonda della città. Profonda e recondita come la sua mitica Diana.”



Buon ferragosto a tutti, tranne a te lurido Amalek.
Oreste Grani
 
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