Non vi fidate di Ipazia Preveggenza Tecnologica

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Oreste Grani
view post Posted on 26/8/2012, 17:43 by: Oreste Grani




Buongiorno morituro Amalek,
la puntata di oggi è dedicata alla chiaroveggenza di Ipazia Preveggenza Tecnologica e alla sua origine.
“Quarant’anni dopo la sua nascita, il regime libico di Muammar Gheddafi appare stabile e forte come non lo è mai stato…” (Minchiaaaaa!!!); “… Hanno permesso al regime di rafforzarsi facendo eclissare ogni possibilità di regime change guidato dall’esterno…” (Sic!!!!); “… sul fronte interno il consenso pare non abbia grandi oppositori…” (Aiuto!!!); “… importanti banche sono state privatizzate e anche le banche italiane, nazionalizzate negli anni Settanta, stanno tornando in Libia…” (Minchia2!!!!); “… Tramite il Fondo sovrano Libyan Investment Authority sono aumentati i grandi investimenti in aziende occidentali, soprattutto in Italia (Eni, Enel, Unicredit le più importanti)…”; “… sotto la guida di Bashar al-Assad, succeduto al padre Hafez nel 2000 e rieletto presidente nel 2007 per altri sette anni, la Siria è un Paese politicamente stabile…” (Aiutissimooo!!); “… con l’avvio di relazioni diplomatiche formali con il Libano ad aprile 2008 è iniziata una progressiva “riabilitazione” politica ed economica della Siria che sta consentendo al Paese di uscire gradualmente dall’isolamento internazionale …” (Cazzooo!!!); “… in Tunisia, sotto l’indiscusso potere del Presidente Zine el-Abidine Ben Ali …” (questi analisti iettatori!!!); “…La politica internazionale dell’Egitto è basata su due cardini: la valorizzazione della posizione geografica transcontinentale (tra Africa ed Asia) e la volontà di ricoprire il ruolo di leader dei Paesi arabi. La recente ambizione del Presidente Hosni Mubarak di fare dell’Egitto il raccordo tra Occidente, Medio Oriente e Africa pone le basi di quella opzione occidentale che fu giocata da Sadat negli anni settanta con la firma degli accordi di pace con Israele e l’avvio dei rapporti di amicizia con gli Usa… Il governo egiziano sta cercando di giocare un ruolo di mediazione tra Israele e Hamas…”.

Questo è solo un campionario delle castronerie che hanno preceduto la cosidetta “primavera araba” sulla stampa nazionale che, per una forma estrema di rispetto, non cito nei dettagli delle fonti e gli autori di quelle idiozie.

Viceversa, come molti sanno, in Ipazia Preveggenza Tecnologica si è previsto, con largo anticipo, la fine di Mubarak, di Ben Alì e soprattutto di Gheddafi.

Perché Ipazia Preveggenza Tecnologica è riuscita, nel tempo, a svolgere questa funzione di analisi e previsione che sarebbe peculiare delle strutture istituzionali di intelligence?
Perché quella di Ipazia Preveggenza Tecnologica è un’avventura che in nessun modo può essere riassunta a parole in quanto è stata prima di tutto un esperimento di integrazione dei codici espressivi tra i più visionari che l’incontro tra politica, storia, arte, scienza, filosofia abbia mai tentato. Un vero e proprio lavoro di ricerca, una costruzione di percorsi e di letture che solo la redazione della rivista “Sfera” aveva, prima di noi, tentato e realizzato.

In realtà non esiste il segreto della chiaroveggenza di Ipazia ma è esistita un’abilità imitativa, di arte che nasce dall’arte, che vede nel mensile voluto da Giulio Macchi, pioniere della diffusione della cultura scientifica, inventore visionario di quegli "Orizzonti della scienza e della tecnica" che è, a tutti gli effetti, il padre di Quark e il nonno di tutti i progetti di divulgazione scientifica televisiva e di un grafico con il gusto della sperimentazione, Piergiorgio Maoloni, il modello da imitare.

A questa coppia geniale si aggiunse una redazione giovane, prevalentemente al femminile con a capo, quasi fino alla fine, Maria Vitale e via via composta da Alessandra Mauro, Adele Gerardi, Marina Marrazzi senza dimenticare l'infaticabile Renata Durante.
Il filo rosso che mi ha portato a scoprire, nel novembre del 1988, “Sfera” editata dal Gruppo Sigma-Tau nell’ambito degli investimenti culturali strategici voluti dal suo fondatore Claudio Cavazza (molto del meglio del Festival dei Due Mondi di Spoleto era dovuto al sostegno economico della Sigma-Tau) si chiama Piergiorgio Maoloni.

Avevo conosciuto il geniale grafico una decina di anni prima quando, dal 1976 al 1978, come ho già raccontato, frequentavo e analizzavo l’arcipelago della sinistra extra parlamentare e i crogiuoli ideologici del terrorismo. Maoloni, creativo insuperabile, aveva prestato la sua opera a non poche riviste di quei mondi come ricorda Paolo Portoghesi in occasione della sua scomparsa: «L'ho conosciuto al Messaggero, lo chiamavano Mao. Era un uomo di grandi entusiasmi, ma anche di silenzi improvvisi. Ha rivoluzionato il mondo della grafica liberandosi dall'iper-razionalismo degli anni Trenta e usando il computer come uno strumento di grande libertà e fantasia». Nato a Orvieto ha disegnato il Manifesto ha riprogettato Paese Sera, Il Giorno, La Stampa, L'Avvenire, L'Unità, L'Unione Sarda, Il Giornale di Sicilia, Il Giornale di Brescia. Ha firmato Cuore, innovativo settimanale di satira politica, ha lavorato in America (la prima volta partì senza sapere una parola di inglese), ha realizzato manifesti, copertine di libri, cataloghi. Ha liberato i giornali dalle gabbie, dall'invadenza del piombo, ha insegnato a calibrare gli spazi bianchi, a usare le immagini. «Negli anni della mia direzione alla Biennale di Venezia la sua collaborazione è stata importantissima», continua Portoghesi, «per il settecentesimo anniversario del Duomo di Orvieto abbiamo realizzato insieme una specie di macchina barocca.
Nel libro “Roma un'altra città”, nel quale raccontavo, le nefandezze avvenute durante il regime, il suo stile ha segnato le pagine, come le didascalie a caratteri grandissimi. Un elemento accessorio trasformato in protagonista». I suoi esordi in una casa editrice cattolica, poi negli anni Settanta la rivista Ragazza pop, la militanza nelle file di Autonomia operaia e la pubblicazione de I Volsci, dall'omonima, celebre strada "rossa" del quartiere romano di San Lorenzo, dove c'era la sede della redazione. I suoi studi, il primo in via dei Pianellari, poi l'ultimo, grandissimo, in via Monserrato, tutte e due nel centro storico della capitale, erano una sorta di bottega dell'arte. Ci passavano direttori di quotidiani, editori, amici; un'assemblea continua con il sottofondo di radio e televisione che erano sempre accesi. E poi c'era la sua immensa biblioteca, con le raccolte di fumetti (da Gordon Flash a Mafalda), i disegni, le foto, i grafici, materiale questo che presto sarà raccolto e catalogato per dar vita all'Archivio Maoloni, a Orvieto. Ultimamente Maoloni si era occupato del restyling dell'Università Lateranense, ripensando e rinnovando tutta la comunicazione dell'ateneo; per Napoli aveva curato con Enzo Ciceri il progetto "Arte moderna", dai cataloghi all'immagine museale. La malattia gli ha impedito di continuare la collaborazione appena iniziata con il patriarca di Venezia, Scola: una rivista dedicata al dialogo tra Islam e mondo cattolico.”

Come si legge nell’articolo di Repubblica che riporta l’intervista a Paolo Portoghesi, non si fa nessun riferimento a “Sfera” che invece, a mio giudizio, è il pezzo forte dell’opera di Maoloni.

E infatti “Sfera” è prima di tutto: “un esperimento di integrazione dei codici espressivi tra i più visionari che l'incontro tra arte e scienza abbia mai tentato”. Recita il sito ufficiale di “Sfera”. Come vi siete accorti la frase è la stessa che ho usato per descrivere il modello culturale di Ipazia Preveggenza Tecnologica. Ancora il sito: “Così come capita al visitatore di una mostra - così come ora è possibile navigando, secondo le leggi tipicamente inter e ipertestuali della rete - il lettore di Sfera ha sempre avuto davanti a sé più di un percorso da seguire, diverse alternative e un'infinità possibilità di ripetere la visita, infilando il tragitto da un testo prima tralasciato, da un'immagine ignorata con iniziale distrazione. L'incontro tra arte e scienza, il gioco di specchi e di rimandi incrociati ha funzionato da codice d'accesso a più di un piano di confronto: quello tra la scientificità dei testi e il carattere artistico dell'apparato iconografico; quello tematico, delle dicotomie, che ha accompagnato tutti i numeri anche quando il progetto editoriale ha subito piccole o più sostanziali modifiche; quello tra la linearità presupposta dalla lettura e la tridimensionalità degli spazi cognitivi costruiti per ogni fascicolo; quello tra impresa e promozione culturale che ne ha determinato la possibilità e ispirato la ricerca.
Quello che c'è stato di originale, quello che è ancora evidente per ogni nuovo, occasionale navigante in rete di Sfera, è l'assoluta autonomia delle sostanze espressive utilizzate. Non vi è mai, infatti, illustrazione grafica, pittorica o comunque figurativa dei contenuti tematici; non c'è nemmeno commento o esercizio di analisi critica dell'immagine. Pur facendo capo alla stessa redazione i percorsi tematici e la ricerca iconografica si sono sviluppati in assoluta e diremmo radicale indipendenza, contribuendo alla scoperta di impreviste relazioni piuttosto che all'illustrazione di quelle già note. (Questa è Intelligence Culturale allo stato puro). E non solo: un ulteriore percorso si è realizzato ogni volta nel progetto grafico, dove gli elementi di riconoscibilità sono rimasti costantemente al minimo - una sorta di menabò appena abbozzato - offrendo al disegno della pagina e dell'intero fascicolo un'occasione di sperimentazione non casualmente studiata con profitto dai professionisti del settore grafico-pubblicitario. Un vero e proprio lavoro di ricerca, una contaminazione di percorsi e di letture che ha sempre rappresentato lo sfondo comune a tutta la proposta culturale del gruppo Sigma-tau: da Sfera, appunto, alle diverse e varie attività della sua Fondazione.
Questa radicale autonomia di percorso tra la pagina scritta, l'immagine figurativa, l'impaginazione grafica, risulta oggi consustanziale al carattere di ipertesto che assume ogni prodotto lanciato nella rete. In questo senso l'opportunità per il viaggiatore cibernetico non è puramente archivistica: si tratta invece di un'esperienza originale che il progetto di Sfera prevedeva con, come dire, una sorta di chiaroveggenza tecnologica. (Chiaroveggenza o preveggenza tecnologica. Tutto qui). Così, se l'indipendenza dei testi scritti è testimoniata dalla ricchezza di stimoli che il lettore delle pagine che seguono troverà ancora freschi e affatto nostalgici di ciò che pure li accompagna, una volta esaurita con profitto la lettura di questi - o insieme alla loro lettura - si dà sempre il caso di riprendere il filo delle immagini, per accedere ad altro, per verificare un ulteriore percorso. Se l'originalità di Sfera sta infatti nella complementarità dei suoi elementi non vorremmo tacere la bellezza, in assoluto, delle immagini e del progetto grafico, conseguenza per entrambi di una ricerca raffinata, colta, attenta ad evitare il ricorso all'iconografia più tradizionale, a volte volutamente sconcertante come in quasi tutte le soluzioni grafiche sperimentate. Una ricerca al limite e del limite, dentro i territori sfumati e incerti tra arte e scienza con l'obiettivo di ricostruire nella geometria della Sfera quella "tecné" di cui, a ragione, la filosofia attuale denuncia ancora la rimediabile perdita.”

Specchi, codice di accesso, dicotomie e il loro superamento sono alla base del processo formativo per i nuovi operatori di Intelligence previsti in Ubiquità. È tra gli articoli di “Sfera” dal 1988 fino al 1995 che ho scoperto Edgar Morin e la complessità della sua trasdisciplinarità. E tra quelle pagine che ho capito la genialità di Alan Mathison Turing e cosa fossero la Paura e il Coraggio, l’Ordine e il Disordine, la Memoria e l’Oblio, il Nascosto e il Palese, il Transitorio e il Permanente, il Vero, il Falso e l’Autentico.
Dopo, molto tempo dopo, arriva l’incontro, de visu, con Edgar Morin a Nardodipace.

Ho frequentato lo studio professionale di Piergiorgio Maoloni per il piacere di stare a contatto con una persona fuori dall’ordinario ma anche perché, nella progettazione grafica di una rivista, ci può essere (e così era) il segreto di un progetto politico.
È lì che, vedendo e leggendo tra le righe, capivo cosa stava per accadere e come poteva, eventualmente, accadere. Prima che accadesse.
Nel 1988 Macchi e Maoloni misero in moto, senza volere, l’avventura di Ipazia e soprattutto mi aiutarono, inconsciamente, a partorire l’idea che è alla base della Scuola di Intelligence Culturale “Guglielmo da Baskerville”.

Con questo voglio servire la verità e omaggiare l’arte e la scienza dell’insuperabile Piergiorgio Maoloni.


Oreste Grani
 
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