Non vi fidate di Ipazia Preveggenza Tecnologica

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Oreste Grani
view post Posted on 2/9/2012, 17:33 by: Oreste Grani




Lurido Amalek (mai epiteto è stato usato più appropriatamente e al momento opportuno) le riflessioni odierne sono tutte dedicate alla Giornata Europea della Cultura Ebraica.
Per la prima volta, dopo molti anni, non partecipo a nessuna delle manifestazioni indette nella giornata odierna. Ero stato invitato, prima del tuo attacco proditorio del 14/2/2012, dal Rabbino Capo di Napoli e dell’Italia Meridionale Mino Shalom Bhabout a dare il mio contributo, anche organizzativo alla “Lech Lechà – Settimana di arte, cultura e letteratura ebraica” che si sta tenendo a Trani, Barletta, Andria, Bari, San Nicandro Garganico, Manfredonia, Brindisi, Oria, Nardò, Lecce.
Spero che tutto vada bene alla faccia tua e dei nemici di Israele.


Per causa tua ho perso Ipazia Preveggenza Tecnologica e gli strumenti che avrei usato per ribadire le mie convinzioni culturali e politiche.
Ma non demordo e, sia pur nella solitudine, pubblico un ricordo legato ad un caro amico (Roberto Cuillo) e un’augurio per un futuro possibile per Roma guidata da un sindaco, emulo del grande Ernesto Natan.

Il 15/4/2012 si tenne, a Roma, una marcia di solidarietà con Israele, come protesta contro le posizioni pro-palestinesi di molti organi di informazione e lo strepito anti israeliano d’una parte della sinistra. Gli organizzatori (prioritariamente Giuliano Ferrara direttore del Foglio) intendevano dimostrare il loro attaccamento allo Stato ebraico, e il timore che esso si potesse venire a trovare, sotto la spinta del terrorismo palestinese, sull’orlo della spartizione.
Roberto Cuillo (a cui penso spesso con stima e affetto) scriveva le parole civili, saggie, lungimiranti che seguono dall’indirizzo elettronico di Kami Fabbrica di Idee perché in quel periodo professionalmente era presso i miei uffici dopo che, per incompatibilità di tipo culturale, politico, etico, morale si era allontanato dalla direzione dei DS e da palazzo Chigi troppo connotati dall’approccio culturale, politico, etico, morale di Massimo D’Alema, Claudio Velardi ed altri.

Cuillo rimase con me tutto il tempo che volle, libero di tornare a lavorare con il Partito non appena lo avesse ritenuto opportuno o lo avessero richiamato. E così fece Piero Fassino non appena divenne segretario del partito, tenendolo vicino a se, per anni, con vari incarichi fino a quando, non so chi, ritenne che l’inutile Marco Follini fosse più adatto a rappresentare i DS in Rai al posto di Cuillo.
La sinistra è piena di ciucci presuntuosi che pensano e fanno, da troppi anni, cose senza senso. Per questo Silvio Berlusconi, con i rappresentanti dei lavoratori, ci ha giocato a palla quando e come ha voluto.
Per questo il Paese è ridotto com’è ridotto.
Per questo, soprattutto in politica estera siamo senza strategia.
Sono i “gattopardi” di destra e di sinistra che ci tengono inchiodati a un modello di società senza libertà e giustizia.

Il 10/4/2002 Roberto Cuillo scriveva a Giuliano Ferrara:
“lo non dimentico una battaglia politica, condotta negli anni '80, da me, giovane comunista, da Oscar Giannino, dirigente dei giovani repubblicani, da Renzo Lusetti, giovane democristiano e da Clelia Piperno della gioventù ebraica.
Eravamo insieme a Mosca, nel 1985, alla riunione preparatoria del Festival Mondiale della gioventù, in quella riunione ci battemmo per 56 ore di fila per cancellare dal programma del festival la istituzione del tribunale contro il sionismo. Insieme a noi un manipolo di giovani socialisti europei e pochi altri. Combattevamo, con tenacia e ostinazione, contro l'equazione sionismo=razzismo=imperialismo. Ricordo bene che questa battaglia politica era condivisa pienamente dal gruppo dirigente della FGCI di quegli anni: Pietro Folena, Nichi Vendola, Franco Giordano, Fabrizio Rondolino, Luciano Vecchi, oltre al sottoscritto. Su questo eravamo uniti, tra noi giovani comunisti e con gli altri.
Per questo non ho nessuna difficoltà ad aderire alla giornata del 15 Aprile.
Continuo a pensare che il passaggio dall'antisionismo all'antisemitismo può essere breve e devastante per tutti.
Continuo a pensare che la sinistra italiana deve continuare a considerare Israele, ciò che rappresenta nella storia recente dell'umanità, come parte del proprio DNA.
Continuo a pensare che due popoli e due stati debbano poter convivere pacificamente sulla stessa terra, riconoscendosi reciprocamente il diritto all'esistenza e alla sicurezza di ognuno.
Continuo a pensare che il terrorismo va combattuto, sempre.
Continuo a pensare che semplificare in buoni e cattivi il conflitto mediorientale sia un esercizio non solo stupido ma estremamente pericoloso.
Continuo a pensare che qualsiasi sinistra, riformista ed europea, non può prescindere dai valori e dal significato profondamente socialista del Kibbuz.
Non possiamo combattere Israele. Possiamo combattere Sharon, ma non Israele. E se condanniamo Israele condanniamo anche il futuro del popolo palestinese, perchè i due popoli sono legati da un destino indissolubile.
Aderisco quindi, da ex comunista, da socialista, da uomo di sinistra, da militante dei DS, senza remore e senza pregiudizi, consapevole e cosciente.

Saluti
Roberto Cuillo”




Grazie a Cuillo, nel periodo in cui onestamente collaborammo, potei incontrare il sen. Massimo Brutti, persona competente e rispettosa del dettame costituzionale come poche ho conosciuto. Inoltre, mantenendo, fra noi, un buon rapporto negli anni, sempre grazie alla sua mediazione incontrai l’on. Maurizio Migliavacca per tentare una rappacificazione tra Pierluigi Piccini (ex comunista ed ex sindaco di Siena) e il partito da cui era stato espulso. Dopo una lunga gestazione, per me estremamente impegnativa, l’incontro avvenne a Roma, all’hotel Splendide Royal, nella suite 508.
Il conto dell’alloggio e del pranzo lo pagò Piccini, ma non Pierluigi.
Ma questa, come spesso dico, è un’altra storia.

Oggi 2 settembre 2012, nel ricordo di tutte le indifferenze, gelosie, crudeltà, violenze, calunnie che hanno, nei millenni, colpito gli ebrei vi propongo, in omaggio ad Ernesto Nathan ebreo, laico e massone, l’articolo di Domenico Pertica.
Che l’operato di Ernesto Nathan sia di esempio a chi vorrà, a primavera 2013, candidarsi alla guida della Città Eterna.


“Nathan: il sindaco di Roma moderna

Laico, massone, interprete di una indiscussa trasparenza e integrità politica, Ernesto Nathan dal 1907 al 1914 guidò l'amministrazione capitolina in una serie di iniziative tese ad una moderna municipalizzazione dei servizi, dall'Atac all'Acea, dal demanio comunale ai musei, dando un contributo decisivo allo sviluppo di Roma con l'edificazione del quartiere Prati e la costruzione di case popolari.
Alto, distinto, «caramella» all'occhio sinistro, ti sembra ancora di vederlo scendere dal landò comunale che puntualmente l'accompagna in via Torino 122, un palazzo tutto frastagli e fiocchi, stile belle époque, acquistato per la sua numerosa famiglia: moglie e sette figli.
Quando scende e il cocchiere gli apre con un inchino lo sportello, si toglie rispettosamente la bombetta e ringrazia in un italiano dall'accento inglese. È il grande sindaco, Ernesto Nathan, che in questo palazzo visse per 18 anni; il sindaco laico che sognò la Roma moderna.

Il 2 dicembre del 1907 con 60 voti favorevoli e 12 astenuti, veniva eletto con le liste dell'Unione Popolare sostenuta dal «Messaggero», comprendente Iiberal-popolari, radicali, repubblicani e socialisti.
Programma: incremento dell’istruzione elementare, potenziamento dell'igiene pubblica, politica edilizia contro le speculazioni, partecipazione della popolazione ai problemi della città. Dopo 37 anni il Campidoglio assisteva allo strano evento di avere un «primo cittadino» non romano, di origine inglese, israelita, massone, repubblicano.
Nato a Londra il 5 ortobre 1845, si disse fosse figlio di Mazzini al quale la madre, Sara Levi di Pesaro (detta «Sarina») fu legata da sentimenti che superarono quelli dell'ammirazione per la causa italiana. D'altra parte Mazzini era stato ospitato a Londra dai Nathan, e ferventi discepoli ne divennero i due giovanissimi Giuseppe ed Ernesto che parteciparono alla congiura e all'azione patriottica.
Quando l'Italia si avviava alla liberazione, nel 1859 la famiglia Narhan immigrò soggiornando in diverse città, fra cui Pisa dove in via della Maddalena n. 38 la sera del 7 febbraio 1872 mori «l'apostolo» dell'Unità nazionale. Un Giuseppe Mazzini «pallido e terreo con crine e barba canuti...» come lo descrive il dottor Giovanni Rossini che la signora Nathan-Rosselli chiamò al capezzale del signor «Giorgio Brown» per raccoglierne l'ultimo respiro.
Più a lungo soggiornarono a Milano dal 1862.
Giuseppe ed Ernesto chiesero ed ottennero la cittadinanza italiana nel 1888 e per lunghi anni continuarono la propaganda del pensiero mazziniano. Per una più ampia diffusione del pensiero del grande Maestro, diedero vita alla rivista «Il Dovere». Dopo il '70, Ernesto, che nel 1867 si era unito in matrimonio con Virginia Mieli, seguì nella capirale Giuseppe Mazzini che gli affidò l'amministrazione della rivista da lui stesso fondata: «Roma del popolo».
La testimonianza della devozione alla memoria di Mazzini è data anche dal fatto che il Nathan fu uno dei più ricchi collezionisti di autografi che poi donò allo Stato, promuovendo, nel 1905, l'edizione nazionale degli scritti del grande esule.

La sua casa in via Torino, dove sull'architrave del portone d'ingresso si notano le iniziali E e V intrecciate dei coniugi Nathan, divenne un assiduo ritrovo intellettuale e politico, frequentata da personaggi come il Villari, il Carducci, Crispi, Zanardelli, Fori, Sonnino, Sgambari, Barzellorri.
L'unico appunto, che specie dai giornali umoristici del tempo gli veniva mosso, era l'imperfetta conoscenza della lingua italiana. Il «Travaso delle idee» lo ritraeva a fianco di un ometto che raffigurava l'interprete, il quale reggeva un vocabolario italiano-inglese e, sotto, riportava qualche grosso svarione ch'egli aveva pronunziato, come una volta, durante un discorso commemorativo della guerra d'Etiopia, invece di dire: l'ecatombe di Dogali, disse «le catacombe di Dogali». Ma questa aneddotica non influisce sulla figura morale e politica del grande sindaco.

Cent’anni fa Roma usciva dagli scandali della Banca Romana, dal saccheggio del patrimonio ecologico e culturale che significa la distruzione in blocco delle ville suburbane per farvi sorgere i quartieri umbertini dell'Esquilino, Castro Pretorio, Sallustiano, Ludovisi e Prati. Usciva dalla «febbre edilizia» i cui danni fecero piangere Gabriele D'Annunzio nella Vergine delle rocce davanti allo «schianto dei pini ludovisii». C'era stata la crisi edilizia che lasciò incompiute le costruzioni del rione Prati, il cui spettacolo «spettrale» impressionò molto lo scrittore francese Emilio Zola il quale scrisse di aver avuto l'impressione di trovarsi davanti a una «città popolata dagli scheletri dei palazzi». Ecco, allora, cosa fece per Roma Nathan.

In linea con la politica giolittiana che promosse la nazionalizzazione delle ferrovie e dei telefoni, provvide alla «municipalizzazione» dei servizi pubblici cittadini, fondando le aziende municipali dell'ATAC per i trasporti, e dell'ACEA per l'illuminazione. Un grande amministratore lo coadiuvò e ne divenne il geniale esecutore: Giovanni Montemartini. Un busto e una lapide nella sede dell'ATAc in via Volturno e la centrale termoelettrica dell'ACEA in via Ostiense (oggi uno splendido museo) a lui intestate ricordano questo modesto e grande «capitolino» che mori al posto di lavoro sui banchi del Consiglio comunale, schiantato da un infarto.
Narhan ideò la «Scuola Rurale» e le «Borgate Rurali» nella lontana periferia ostiense, con annessa Delegazione per lo stato civile. In pratica veniva realizzato un «decentramento» amministrativo simile all'attuale modello dei Municipi.
Per la prima volta attuò il sistema referendario.

Il 20 settembre 1909, i cittadini chiamati alle urne furono 44.595 per esprimere il loro parere pro o contro la municipalizzazione. Promosse il referendum sulla libertà dell'insegnamento religioso nelle scuole. In più ottenne sussidi speciali per il Piano Regolatore Sanjust di Teulada in accordo con le leggi-Giolitti e secondo i programmi del Blocco-Narhan che si orientavano verso la demanializzazione delle aree e il disegno di una «Città a villini». Su questo binario sorsero (e sorgeranno) modelli e tipologie popolari che vediamo al Testaccio le cui case popolari disegnate dagli architetti Magni e Pirani sono un'antologia di architettura sociale, S. Croce in Gerusalemme, San Saba, «Città Giardino» a Monte Sacro, Monteverde Nuovo.

Castel Sant'Angelo da caserma fu trasformato in museo. Ricordiamo l'allargamento di via Tomacelli, il progetto della Galleria Colonna del l'arch. Carboni, l'allargamento del secondo tratto di via del Tritone con la costruzione del bel palazzo liberty per l'hotel Select (oggi Messaggero), la sistemazione del Muro Torto dove fu attivato un elegante ascensore tutto foderato in velluto rosso che portava al Pincio, i quartieri Trionfale e Flaminio, la politica sociale a Testaccio e a San Lorenzo dove vennero aperti i primi «Centri Montessori» per un a educazione moderna dei bambini.

Al Testaccio - rione pilota della politica sociale - si verificarono le prime esperienze degli «alberghi del popolo e delle «mense» per i poveri.
A Trastevere viene inaugurata la scuola elementare «Regina Margherita» e così tutte le altre scuole nei vari rioni di «stile umbettino» sono tutte edificate dall'amministrazione Nathan. L'Augusteo veniva trasformato in sala per concerti «dove l'operaio per quattro soldi può sentirsi i migliori direttori» (parole di Nathan).

Nel 1911 inaugura la grande Esposizione Nazionale a Piazza d'Armi (oggi zona di piazza Mazzini-viale Marcello Prestinari) per il cui accesso fu aperto il viale delle Belle Arti e gettato il ponte del Risorgimento capolavoro ardito del cemento armato, a un solo arco, costruito dall'impresa Porcheddu e disegnato dall'architetto Hennebique. Il successo politico ed economico dell'Esposizione fu tale che diede fastidio alle fazioni avverse, a tal punto, che si arrivò perfino a mettere in giro la voce che a Roma - sentite questa! - era scoppiato il colera, pubblicando sui giornali delle fotografie di operai sdraiati tranquillamente sugli scalini del monumento a Vittorio Emanuele Il nelle ore di riposo, e facendo credere - niente meno! - che invece erano tanti «morti di colera colà abbandonati».

Nel 1911 si inaugura il ponte Vittorio e, per lo sport, viene creato lo Stadio Nazionale (l'attuale stadio Torino al Flaminio). Sempre nel 1911 furono iniziati i lavori per i Mercati Generali all'Ostiense e nello stesso anno fu inaugurato il palazzo di Giustizia. Ma l'inaugurazione più solenne fu quella del monumento a Vittorio Emanuele.

La modernità del Nathan è imprevedibile.
Per le stagioni del Teatro Costanzi predispone un inserimento di giovani compositori, artisti tutti italiani. Parla in difesa delle «forme nuove», parla della moda musicale, e scrive: «In verità vi è una lacuna ... bisogna ammettere l'assoluto abbandono di un aspetto dell'arte. Tersicore è stata trascurata, anzi, ignorata: il "Tango", “One Step”, il "Cake Walk", il "Cancan", non furono mai oggetto degli amministratori». Questa osservazione e puntualizzazione nsu un momento abbastanza importante dell'evoluzione dei costumi riflette la sprovincializzazione della linea-Nathan, il suo europeismo e l'internazionalismo laico.

Una delle barrure ufficiali di Nathan che fecero scalpore sulla stampa e soprattutto sui giornali umoristici fu quando disse: «Qui non c'è trippa pe' gatti», magari pronunciando la celebre espressione che poi «entrò» nel gergo romanesco, con un tantino di «erre» moscia, e con accento itala-inglese.
Perché la disse? Pare che, nell'esaminare lo schema di bilancio preventivo che gli avevano posto sotto il naso, notasse l'iscrizione di uno stanziamento, sia pure modesto, ma molto curioso, destinato all'acquisto della trippa. «Ma come! - disse. – Chi mangia trippa al Campidoglio?», Gli fu risposto che la trippa era destinata ai gatti da mantenere negli uffici capitolini infestati dai topi. «Oh bellal» sussultò togliendosi di scatto la «caramella» in castrata nell'occhio sinistro. «Oh bella!» e puntò occhi e naso all' insù verso il tremebondo impiegato che gli stava di ritto a fianco, con il conto in mano. «Ma i gatti non mangiano i topi? E, allora, che ragione c'è di somministrare al gatto la razione di trippa?». Alle timide e inefficaci giustificazioni dell'impiegato capitolino, tagliò corto dicendo: «O ci sono i topi e allora i gatti mangino i topi; o non ci sono i topi, e allora, caro lei, qui non c'è trippa per i gatti». La frase usciva come un coriandolo da quella bocca onesta, e fece il giro di tutta Roma casa per casa vicolo per vicolo.

Un discorso che fece epoca fu quello pronunciato il 20 settembre 1910 a Porta Pia. Suscitò il risentimento di Pio X per un «cumulo di empie affermazioni, quanto gratuito, altrettanto blasfemo ... ». Nathan aveva semplicemente detto: «Una Breccia attraverso la quale penetrò la libertà di coscienza insieme alla libertà di sviluppo materiale ... ».
La polemica si allargò al Quirinale. Ma al re, il bellicoso sindaco, mandò a dire in un telegramma: «Mi sono soffermato sul passato per mettere in rilievo quali siano i mali, quali gli inceppi filiati dal dispositismo, dal regno di una classe, sia pure quella sacerdotale, in nome della religione».
Un discorso che documenta la sua linea morale che vuoI creare una figura nuova di amministratore, pragmatico, lucido, vitale, non inquinato, è quello che pronunciò all'atto del suo insediamento: «Il programma dà piuttosto un indirizzo vivo e diverso. In una parola il tempo del lasciar passare, lasciare andare, del comodo ufficio di rappresentanza, senza consacrarsi anima e corpo alla funzione vitale amministrativa, alle questioni grosse e piccole, che si affacciano nel presente e ipotecano l'avvenire, è passato. Roma, per essere degna del suo nome, del posto che le compete nella Patria e nel mondo intero, ha obblighi da soddisfare, doveri da compiere, che si moltiplicano, si rinnovano nella misura in cui vengono soddisfatti.

Le tre città, l'antica, la medievale, la moderna, ognuna si para innanzi, ognuna chiede osservanza, cura ed opera, intrecciandosi in guisa da rannodare la vita fremente e pulsante con la tradizione, il presente col passato e coll'avvenire. Là sta il problema posto innanzi a chi si assuma ufficio di vegliare alle sorti cittadine, problema incalzante, imperativo.
L'Amministrazione popolare lo riconobbe, ne indicò il punto di partenza, il metodo; ad altri il continuare per questa via, affaticarsi a risolverlo, per il bene di Roma e dell'Italia».”


Oreste Grani
http://leorugens.wordpress.com
 
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