Non vi fidate di Ipazia Preveggenza Tecnologica

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Oreste Grani
view post Posted on 18/6/2012, 08:39 by: Oreste Grani




Gentile anonimo, come si legge di seguito, la risposta, di cui mi scuso per la lunghezza, è stata scritta il 2 giugno 2012.
Ho riflettuto altri 16 giorni se pubblicarla o meno.
La pubblico.

Da mesi mi chiedo se rispondere o non rispondere alla nota del 14/2/2012 comparsa in questo sito che mi descrive come un abile truffatore.
In questo lasso di tempo non ho risposto perchè ho fatto prevalere lo spirito di servizio e ho continuato ad agire, in silenzio, per le finalità che l’eventuale, attento, interessato lettore scoprirà.
Ma i danni che l'astuto (?), l'imbecille (?), il filodiretto (?), l'ingenuo (?) o forse, più semplicemente, il danneggiato dal mio agire, ha generato sono di natura e di dimensioni tali da non consentirmi più ulteriore sacrifici.
Da quella data, con la tristezza nella mente, ho mandato avanti il mio "compito" ogni giorno chiedendomi se era arrivato il tempo della reazione o della resa.

Oggi 2 giugno, festa della Repubblica, è arrivato il tempo della reazione per un uomo di 65 anni, di fede repubblicana, pacciardiano prima e mazziniano dopo.
Nell'unico modo che conosco: servendo la verità e correndo i rischi impliciti nel racconto della mia vita.
Non lo faccio per vanità esibizionistica ne per lucro alcuno.
Ne per premere su donne e uomini di potere.
Dopo essere stato tacciato di essere un truffatore non vorrei ritrovarmi nel sito dei ricattatori.

Lo faccio per l'onesta, intelligente, sensibile compagna della mia vita che da 15 anni sopporta l'atipicità delle mie scelte e le conseguenze di questo mio modo di essere e di voler, da sempre e per tutta la vita, servire il disegno superiore di una Nuova Repubblica in cui la difesa della dignità umana, servita da una giustizia giusta, sia il primo articolo e la finalità ultima della nuova costituzione.

Lo faccio per mio figlio, ormai quarantenne, perché sappia da me e non da altri chi è stato suo padre.
Lo faccio anche per molti fedeli collaboratori che da anni credono nella bontà delle mie tesi. Lo faccio per molti di voi che usano internet provando così ad aiutarvi a saperne di più di fonti aperte e di mistificazioni.
Lo faccio quindi per il Sapere e per accompagnarvi alla lettura della complessità implicita nel superamento della dicotomia vero/falso.

Lo faccio per risolvere, in qualche modo l’antico e tenace legame che stringe insieme dolore e conoscenza. Provo dolore, ma ho conoscenza di come si sono articolate le dolorose vicende. E in nome di questa dolorosa, che mi auguro comune, conoscenza, mi rivolgo a lei anonimo e a quanti l’hanno letta.

“Finalmente abbiamo fatto fuori Grani. Giustizia è fatta”, potrebbe sguaiatamente e istericamente gridare qualcuno nell’ombra. Mentendo sapendo di mentire. O, peggio, paradossalmente, ritenendosi nel vero.
La formula di rito appena richiamata ha la natura del luogo comune, ma non è affatto sinonimo di banalità.
Nei rituali comunicativi, i luoghi comuni costituiscono, infatti , il punto di equilibrio tra ciò che si è capaci di dire e ciò che, di per sé, appare ineffabile, ma che può essere quasi intuitivamente compreso da parte di chi ha subito “prove” analoghe, ed è in grado di identificarsi nelle “parole di altri”, con i propri vissuti.
È questo processo mentale che ho sperato, fino all’ultimo, prevalesse. Non è stato così e il suo scritto, caro anonimo, ha inferto un duro colpo al progetto Ipazia e alla realizzazione della necessaria Strategia di Sicurezza Nazionale.

Se è vero che il dolore più profondo e lacerante appare quasi muto o viene gridato in maniera straziante e inarticolata, la sua elaborazione, conoscenza e manifestazione in forma comunicabile e condivisibile da altri, possono alla fine risultare l’unico sollievo efficace. A una condizione: che si accettino le conseguenze, dapprima devastanti, di una discesa agli inferi, che si sprofondi negli strati più bui di se stessi. E io sono pronto.
Il dolore di cui parlo è quello che provo nel vedere andare a fuoco la casa di Ipazia e con essa 50 anni di dedizione al mio Paese.

In questi anni ed in particolare negli ultimi venti sono stato tra quelli che hanno sostenuto, non avendo una generica finalità di criticare i Servizi Segreti Italiani, l’urgenza di nuove prassi e metodologie per migliorarne l’efficacia con la piena soddisfazione di tutti.
A me sembra evidente, e non da oggi, che le vicende politiche di “casa nostra”, almeno degli ultimi dieci anni, sono sfuggite al “controllo” dei servizi di sicurezza dello Stato, prestandosi ad “interferenze” esterne, che hanno orientato gli accadimenti italiani verso direzioni non rispondenti agli interessi nazionali. Certi comportamenti dell’ex Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, a carattere privato o pubblico, comunque li si voglia definire a seconda della propria posizione politica, culturale, etica o ideologica, si sarebbero dovuti evitare grazie ad un ruolo realmente efficace dell’Intelligence. I “Servizi Segreti” italiani avrebbero dovuto far comprendere al Premier, per esempio, che era quantomeno “inopportuno” frequentare certa gente e condurre uno stile di vita che metteva a rischio l’autonomia e il bene nazionale.

Inoltre, non risulta che l’Intelligence sia stata capace di impedire l’uso illegale e destabilizzante per il Paese che un management corrotto e disinteressato al bene comune ha fatto di Finmeccanica, entità strategica per la sicurezza dello Stato. Dove sono finiti i “criteri base” per la concessione dei nullaosta di segretezza? Come si può consentire a personaggi quali quelli che si aggiravano intorno al vertice di Finmeccanica di violare continuamente e nella sostanza i criteri di sicurezza previsti nella fabbricazione di materiali classificati, e ignorare che, comunque, quando si producono per Paese terzo, si ha il dovere prioritariamente di proteggere l’appartenenza e la riservatezza di quel bene al committente? Cos’altro è stata se non un atto di sfiducia verso Finmeccanica la disdetta della fornitura dell’elicottero commissionata dagli Stati Uniti per il Presidente Obama, disdetta annunciata dal Presidente in persona nel febbraio 2009 a pochi giorni dal suo insediamento ufficiale alla presidenza? Quell’episodio non aveva forse già annunciato tutto ciò che puntualmente poi è avvenuto in Finmeccanica? Dove è finita, in questi anni, la categoria dell’abilitazione, cioè la valutazione delle persone autorizzate ad avere accesso alle notizie o a partecipare comunque ad attività “classificate”? Che cos’è “classificabile” in un Lavitola o in un Mokbel? Dove sono le richieste e gli eventuali esiti positivi di concessione di NOS di Lavitola e di Mokbel? La verità è che non ci sono, e che questi signori si aggiravano nel labirinto delle nostre cose riservate senza nessuna autorizzazione.
Anche in occasione della crisi libica, l’Intelligence italiana non si è distinta per capacità di conoscere quanto si concertava e si organizzava finanche tra Paesi alleati della Nato, e all’opinione pubblica e alla stampa internazionale non è sembrato che il nostro Ministero degli Esteri abbia saputo opportunamente prevedere gli avvenimenti che stavano per verificarsi, quindi, suggerire linee di azione funzionali a difendere il Paese e la sua economia dall’attacco degli interessi stranieri.
Ciò è accaduto anche a causa della legislazione italiana, che fa dipendere i Servizi di Intelligence dal potere (politico) esecutivo, che spinge e “convince” da troppi anni i vertici delle nostre agenzie di sicurezza ad “attaccare il somaro dove il padrone vuole”.
La nostra Intelligence è stata forse presa alla sprovvista dagli eventi quasi quanto gli ingenui cittadini, mostrandosi, così, poco “intelligente”? O si è volutamente distratta?

Sono tutte occasioni della vita nazionale – da Ilaria Alpi al caso Saint Just/Armati, dal sequestro di Abu Omar a quello di Giuliana Sgrena che costò la vita a Nicola Calipari, un eroe –, nelle quali i Servizi di Intelligence hanno mostrato la loro inadeguatezza nel reperire e collegare informazioni utili a prendere decisioni consapevoli a favore della difesa del Paese. Eppure, tra le definizioni più diffuse di Intelligence, vi è proprio quella di “attività di reperimento, raccolta e collegamento di informazioni utili a prendere decisioni per la sicurezza del Paese”.
Io sono questo, ed elaborati questi giudizi in totale autonomia di pensiero e di volontà operativa, facendomi Stato, ho dato vita, negli anni, ad una serie di realtà imprenditoriali (delle REI Ricerche Economiche Industriali, per intenderci con gli addetti ai lavori) ed ho, nella mia visione della legittimità (visione di cui mi assumo tutta la responsabilità) operato per il bene della collettività.

Sono alle prime righe e già mi accorgo che la risposta potrebbe essere troppo lunga per chiunque prima di arrivare a far capire di cosa mi sono interessato durante la mia vita.

Sono nato nel 1947 e già nel 1963 dedicavo tutto il mio tempo non alle festicciole, non al calcio ma a sognare una Repubblica "più giusta e più pulita" aderendo, sedicenne, all'Unione Democratica per la Nuova Repubblica fondata da Randolfo Pacciardi, Tomaso Smith, Ivan Matteo Lombardo, Alfredo Morea, Giano Accame, Antonio De Martini, Giorgio Vitangeli, Mauro Mita in concorso con altri patrioti della loro statura.
Di alcuni di questi parlerò a lungo nella ricostruzione che mi accingo a fare.
Per ovviare quindi a questa "pericolosa lungaggine" fornirò subito un elenco impegnativo di nomi e avvenimenti a cui ho dedicato la mia azione.

I nomi e gli avvenimenti con cui sono stato in rapporto sono loro stessi la risposta al mio anonimo disinformatore nella speranza che lui, tornando sul luogo del delitto (il vostro sito scelto per cercare di uccidermi e così uccidere la speranza in uno Stato Intelligente e una Intelligence Culturale capaci di difendere, in queste ore terribili, la nostra esausta Patria) rinsavisca, si dichiari e dica se appartiene alla categoria dei danneggiati (e allora mi scuso da subito) o dei servi di un sistema di corrotti, traditori del giuramento alla Repubblica. Comunque, caro anonimo, il guaio è fatto e il Leviatano è evocato.

Nel mio agire ho incontrato migliaia di persone avendo modo di capirne le intenzioni ed, eventualmente, isolarne le azioni indirizzate ad interessi illeciti in contrasto con le finalità della collettività. A volte ho incontrato nemici della Patria e mi sono regolato di conseguenza.

Mi sono “ingaglioffato” con gente di tutte le amoralità e questo può aver fatto spesso fraintendere il mio approccio e il mio operato.
C’è una prova regina che voglio, comunque, fornirle: il bottino, cioè il movente dell’agire truffaldino, caro anonimo dov’è?
Perché, vede, io non posseggo il bottino sotto nessuna forma. Non ho un conto corrente bancario. Ne in Italia, ne all’estero o presso fiduciarie in paesi canaglia. Non ho titoli di Stato. Non ho azioni di società quotate in borsa. Ne in Italia ne all’estero. Non ho lingotti d’oro, brillanti, o altre gemme sapientemente nascosti. Non ho collezioni di monete antiche o auto d’epoca, francobolli rari, quadri, argenti, ceramiche. Non ho una casa ne brutta ne bella. Non ho quindi seconde case. Non ho barche o aerei con cui fuggire. Non ho un passaporto che, per libera scelta, non voglio avere da moltissimi anni. L’ultimo che ho avuto si può legittimamente verificare quale organismo me ne facilitò la consegna. Ho avuto delle belle biciclette ma me le hanno rubate e dopo l’intervento per l’asportazione di un tumore al rene sinistro, non posso più pedalare come i sali e scendi romani richiederebbero. Uso quasi sempre i mezzi pubblici tranne quando sono in grave difficoltà fisica perché da qualche anno ho una nuova forma del male che mi ha aggredito il surrene destro sopravvissuto.

Torniamo al denaro, movente di tutti i truffatori.

A soli 25 anni, nel 1972, prima dello shock petrolifero già avevo una lecita busta paga di 706.000 lire per 14 mensilità. Ero 5° livello super metalmeccanico.
Il mio datore di lavoro che mi aveva assunto per meriti e non raccomandazioni era una solidissima società multinazionale americana (Rank Xerox) di cui ritengo di essere stato, nella sua storia italiana, il più giovane Branch Personal Manager.
Potevo rimanere in quel ventre protettivo e, pensi, che ricchissima pensione avrei oggi. Invece, nel 1976 “qualcuno” mi chiese di lasciare quella posizione di privilegio e di andare nel gruppo Rizzoli Corriere della Sera a Milano, a Crescenzago, nel cuore della P2 gelliana, nel pieno del tentativo di Tassan Din e Maurizio Costanzo e di tanti altri eversori associati in una massoneria deviata per impadronirsi del più autorevole gruppo editoriale italiano.
Dissi di si e inutilmente provai ad oppormi, nella semplicità dei mezzi che la mia posizione mi consentiva, a tanto scempio.

Tornerò più volte nel racconto che le devo su quella esperienza fatta a via Civitavecchia 104 a Milano e in modo particolare al Centro documentazione della Rizzoli.
Lì scoprii il valore delle “fonti aperte” a contatto con Alberto Mantovani, un giovane e brillante dirigente, e i suoi 54 straordinari analisti.
Capii subito che il futuro delle analisi strategiche sarebbe stato in quel lavoro umile, apparentemente di “ritaglia e incolla”, e che la meccanizzazione e l’informatizzazione (si affacciava in quel momento nei centri di elaborazione dati) avrebbe fatto delle fonti aperte l’anima stessa dell’Intelligence Culturale Strategico.
Era il 1976.

Fonti aperte che non ho mai più smesso di studiare e di cui, dicono, sono diventato un grande esperto. E anche una vittima sacrificale come la vicenda della sua anonima delazione dimostra.
Andiamo ancora indietro.

Mi ero già interessato, sia pur in modo artigianale, da giovanissimo delle fonti aperte e delle agenzie di stampa utili ad informare e a disinformare.
Il mio primo datore di lavoro (senza busta paga) è stato Carmine Mino Pecorelli, via Tacito 50, Roma a 60.000 lire al mese.
Impaginavo manualmente tutte le sere l’agenzia di informazioni riservate più famosa d’Italia OP-Osservatore Politico Internazionale.

Era il 1968, complesso inizio di molti avvenimenti, anche tragici, della storia della Repubblica.
Ma di fonti aperte a disposizione, in realtà, mi interessavo dall’aprile del 1966, mese ed anno in cui muore il giovane Paolo Rossi e le fonti aperte vengono utilizzate dal sistema partitocratico per non raccontare la verità di quegli incidenti in cui il giovane innocente viene ucciso.
Ancora oggi le fonti aperte consentirebbero (sentenze di tribunali, articoli di grandi giornali, resoconti parlamentari) di raccontare la verità di quella morte. Soprattutto basterebbero i ricordi dell’attuale giudice di Corte Costituzionale Paolo Napolitano.

Come vede, caro anonimo, vado indietro fino all’adolescenza, per dare il senso di quanto profondo sia il mio interesse per l’Intelligence Culturale che consente di “estrarre dalla realtà quello che c’è ma non si vede”.
Quell’interesse che, attraverso mille vicende, mi ha portato ad ispirare e a pubblicare legittimamente sin dal 2006 il testo “Ubiquità, ovvero la dimensione necessaria di un’Intelligence Culturale” consegnato, brevi manu, in tempi diversi, tra gli altri, al Vicecomandante dell’Arma dei C.C. generale Roberto Santini, al sig. giudice Rosario Priore, al sen. Massimo Brutti membro all’epoca della commissione giustizia, al direttore del Centro Studi del Quirinale dott. Delli Paoli e ad altri che, nelle sedi opportune eventualmente, citerò e successivamente, nel settembre del 2011, affermare nell’articolo “Intelligence e ubiquità”, pubblicato nella rivista dei Dioscuri, la necessità di elaborare nuovi modelli di reclutamento, selezione e formazione delle risorse umane atte a estrarre dalla realtà quello che c’è ma non si vede.

Nel racconto che le devo, apparentemente in ordine sparso, e per necessità di spazio e di tempo parlerò ad esempio, da questo sito, di come e perchè ho impedito ad Alberto dell'Utri, fratello gemello del più noto Marcello, di impossessarsi dell'azienda Monitoring Italia srl (già Carro srl) destinata a gestire il 45% del mercato del così detto braccialetto elettronico, tecnologia da utilizzare quale pena alternativa alla detenzione.
Il resto dei detenuti aventi diritto era destinato ad essere gestito per il 10% dalla Finsiel e il residuo 45% dalla società israeliana ElmoTech.
Il pregiudicato Alberto Dell’Utri si preparava a fare questo paradossale business in concorso con tale Carmelo Sparacino (detto Manuel) ed altri quali Giovanni e Francesco Pirinoli della nota famiglia di "sbobinatori di intercettazioni", Edmondo Monda (chi fosse e cosa facesse dirò più avanti), Mario Traverso (Addicalco srl) e Marcello Antonelli Caruti dirigente Telecom.
Storie complesse finite drammaticamente per alcuni come per il povero ingegnere Mirko Ducortil estensore, tra l’altro, dei business plain del braccialetto elettronico e del piano nazionale per le intercettazioni telefoniche, morto suicida in una pensioncina nell’interland milanese.
In quella operazione di contrasto che aveva “in palio” l’appalto del braccialetto elettronico fino al 31/12/2011 (milioni di euro) e del sistema unificato delle intercettazioni telefoniche (miliardi di euro) venne sacrificata Kami Fabbrica di Idee srl. Più avanti torneremo su questa società e ne spiegherò il sacrificio.
Questo racconto ha bisogno di continui flashback.

Un passo indietro verso gli ultimi anni 1990.
Quanta intelligenza ci vuole, quanto tempo, quanto denaro si deve “legittimamente” trovare perché venga allontanata dalla sede di via del Leone 13 Roma la società Meridiani & Paralleli controllata all’epoca (1998) dall’arch. Giuseppe Santulli Sanza e dal più noto alle cronache giudiziarie Pio Pompa?
Si, Pio Pompa che successivamente approda nella squadra del generale plurilaureato Nicolò Pollari.
Prima che la magistratura (recentemente) cogliesse Pio Pompa nei comportamenti illeciti di via Nazionale (schedature e disinformazioni), io ne avevo individuato sin dal 1998 la pericolosità e le trame che tesseva in rapporto costante con Giuseppe Santulli Sanza, con la “vedova” Gucci condannata poi definitiva per omicidio e soprattutto con Lamberto Dini (si proprio lui).
Pio Pompa era già nel 1996 con altri noti pluricondannati per azioni eversive (ad esempio Jaro Novak già di Potere Operaio, Autonomia Operaia, 7 Aprile) tra i fondatori di Rinnovamento Italiano, il partito di Dini che doveva salvare l’Italia.
Il sottoscritto “truffatore” li ha cacciati a calci in culo dall’appartamento di via del Leone 13, rimuovendo la Meridiani & Paralleli e la consorteria che la stava utilizzando.
In quella sede nasce e comincia ad agire Kami Fabbrica di Idee, società incubatrice del progetto Ipazia.
Tornando ancora più indietro (1976/77/78) parlerò di chi e cosa mi impedì di provare a non far sequestrare l’on. Aldo Moro. In quelle ore, ovviamente, ignoravo che le BR si preparavano a rapire quell’esponente della DC ma avevo individuato un HUB da cui far partire il controllo di alcuni esponenti BR di rilievo. Non mi ero sbagliato perché proprio quelle donne e quegli uomini risultarono tra i rapitori del presidente Moro.

Racconterò di come abbia dovuto auto-organizzare, dopo la morte di Moro per continuare in modo più credibile l’opera di monitoraggio, il mio arresto (non per truffa) ma perché “sorpreso” con una beretta 7.65 con il colpo in canna, antistante l’uscita dei dirigenti della RAI a viale Mazzini. Era il 20 giugno del 1978 caro il mio anonimo e l’on. Moro era stato ucciso da pochi giorni e chi entrava in carcere in quei frangenti poteva non uscire per 11 anni secondo i dettami della legge Reale vigente all’epoca.
O essere ucciso in carcere se veniva sospettato di essere un infiltrato. O negli anni successivi subire vendette trasversali. Come ancora oggi mi potrebbe accadere ora che la sua provocazione mi ha obbligato ad interrompere il silenzio e a raccontare l’essenza della mia vita. Altro che truffatore.
Facevo il mio dovere caro anonimo, in accordo con il prefetto Umberto Improta, e i questori Domenico (Mimmo) Spinella e Calogero Profeta. Con lo pseudonimo “sommergibile” tenevo sotto controllo Luigi Rosati, marito di Adriana Faranda latitante e compagna di Valerio Morucci nella colonna Romana delle Brigate Rosse, nell’inutile tentativo di non (ha letto bene NON) far sequestrare Aldo Moro. Dopo l’auto-arresto e la mia successiva scarcerazione, mi sono dedicato alla campagna elettorale finalizzata alla libertà di Antonio Negri, potendo rimanere così a stretto contatto con lo stesso perché non fuggisse. A volere la sua fuga e ad organizzarla contro la mia volontà furono noti esponenti del mondo politico di quei tempi e non il sottoscritto.
Altro che truffatore! Ora però la Polizia Postale e la Magistratura saranno costrette a rivelare chi lei sia per capire se, come più volte ho detto, lei sia una persona da me danneggiata o “qualcosa” di diverso e di più perfido.

Continuerò a scrivere nei prossimi giorni, per tutto il tempo e le parole necessarie, ad arrivare alla storia di Ipazia Preveggenza Tecnologica che lei eplicitamente infanga.
Successivamente vi dirò per quale motivo è stata sacrificata la società Giochi Nemei srl da me amministrata.
Se rimarrà il tempo e mi sarà data la possibilità racconterò di come il Grande Vecchio della Prima Repubblica, oggi ancora vivo, tramite una signora lombarda, tale Brambilla, informò i miei soci dell’inopportunità di frequentarmi descrivendomi come un pericoloso trafficante di componentistica elettronica descrivendomi, in quella occasione, come un filo-arabo.

A volte, come lei insinua, mi hanno descritto in combutta con il Mossad, a volte con il mondo arabo. Non appartengo ne a uno e ne all’altro. Sono un patriota italiano e, al massimo, sono innamorato della complessità mediterranea.
Racconterò come si prefigura il possibile a Siena durante le elezioni amministrative del 2011, un anno prima del tracollo del MPS e delle dimissioni del sindaco Ceccuzzi. Lo racconterò parlandovi di più Piccini e delle loro Maserati.

Racconterò di come, pur di non farmi riuscire ad aprire la Scuola di Intelligence “Guglielmo da Baskerville” che da anni preparo si è fatto scappare a gambe levate l’ultimo imprenditore che aveva deciso di finanziare l’iniziativa.
Descriverò dettagliatamente come e chi ha fatto in modo che, dopo che il 23/3/2012 si era tenuto, il convegno alla Camera dei Deputati intitolato “Lo Stato Intelligente-finanziamenti europei per l’innovazione e per la sicurezza” si interrompessero le mie attività utili al lancio della Strategia di Sicurezza Nazionale.

Descriverò come si mette alla porta da un’ora all’altra personale che ha come sola finalità lavorativa la costruzione di un percorso di legittimità rispetto all’erogazione dei fondi europei legati alla sicurezza, all’intelligence e alle smart cities.
Cari lettori vi porterò, grazie alla provocazione dell’anonimo che ha ritenuto di insultarmi il 14/2/2012, ad estrarre dalla realtà quello che c’è ma non si vede.

Vi dirò perché mi batto da anni perché l’acquisizione delle informazioni, la gestione delle conoscenze, la competenza nelle tecnologie e il controllo delle comunicazioni debbano rappresentare l’area strategica di una intelligence concepita in chiave culturale.

Vi “obbligherò” rispettosamente a capire perché un uomo e i suoi collaboratori debbano essere tolti di mezzo se ritengono la sicurezza e l’autonomia degli Stati, dei Governi e delle Istituzioni minacciati costantemente da fenomeni di dimensione internazionale quali il crimine organizzato, la proliferazione di armi convenzionali e non convenzionali, la criminalità finanziaria e, non ultima la corruzione.
Soprattutto perché questa squadra, oltre a chiamare in causa il ruolo dell’Intelligence, parla anche di etica sociale, economica e politica. Continuerò per mesi, per anni. Finché rimango vivo.

È d’obbligo, a questo punto, un particolare ringraziamento a Fabrizio Bartoletti, Oliviero Bartoletti, Alessandro Licata che, improvvisamente, vergognandosi del mio passato burrascoso a loro già noto, e chiedendomi da un’ora all’altra di lasciare la sede che insieme, da mesi occupavamo e dove stavamo costruendo un percorso culturale ed imprenditoriale tutto impostato ad una ipotesi di mercato “attrezzata” per contrastare la corruzione proponendoci così di dare il nostro contributo all’Italia per renderla più competitiva e capace di superare la crisi, mi hanno spinto a reagire alle offese profuse, non tanto alla mia persona, quanto ad Ipazia Preveggenza Tecnologica.

Un grazie di cuore quindi, cari signori. Senza il vostro atto ostracistico forse avrei continuato a servire tacendo.
Come si evince da quanto fino ad ora ho scritto, ho affrontato e superato ben altre complessità. Sarà così anche questa volta. Soprattutto perché se non si rifà un’Italia senza i Piccini, i Lavitola, i Mokbel, i Guarguaglini e le signore Grassi questa volta, si muore.

Edited by Oreste Grani - 11/7/2012, 16:23
 
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